Nata, vissuta e morta
a Sant’Andrea Jonio (CZ)
Cenni storici di Salvatore Mongiardo
Unica foto della Monachella vivente, ripresa da Orazio
Vitale e
riportata nel suo libro: Sant’Andrea sul Jonio attraverso i
secoli, 1954
|
Presentazione
Sono lieto di presentare agli
amici questa breve pubblicazione di Salvatore Mongiardo, originale omaggio alla
nostra concittadina Mariantonia Samà. L’autore ci propone la cara figura della
Monachella di San Bruno nel travagliato scenario storico di Sant’Andrea Jonio
del secolo scorso. Recentemente è stato scoperto nell’Archivio Storico della
Certosa di Serra San Bruno, un manoscritto di quindici pagine che la riguarda,
Guarigione della giovinetta di
Sant’Andrea, una cronaca preziosa e
dettagliata, collegata ai riti di liberazione degli spirdati o ossessi in Calabria. Questa scoperta suona come un invito a
riconsiderare la straordinaria vicenda della Monachella, cosi umile e nascosta,
con nuovi approfondimenti. Allora la sua figura potrà apparire in tutta la sua
ricchezza di significati per il mondo di oggi alla ricerca di senso e di
speranza.
Il Parroco
don Francesco Palaia
Cenni storici
Figlia unica,
Mariantonia Samà nasce il 2 marzo 1875 pochi mesi dopo la morte del padre Bruno
in un angusto tugurio, dove il sole non penetra mai e che si apre su una
stradina larga un metro. La madre è povera, come la maggior parte della
popolazione calabrese negli anni di miseria che seguirono all’unificazione dell’Italia
nel 1861.
Mariantonia cresce
attaccata alla madre che deve darsi da fare per procurare il cibo. Madre e
figlia non sanno leggere né scrivere, parlano solo la lingua andreolese,
aggettivo, questo, che indica pure la popolazione di Sant’Andrea Jonio,
suggestivo paese in collina,
affacciato sul mare.
la casetta (tugurio) |
Una mattina
Mariantonia, all’età di circa 11 anni, segue la madre e altri parenti fino al
fiume Saluro, dove vanno a fare il bucato vicino al mulino ad acqua. Al ritorno
verso casa, Mariantonia ha sete e si china a bere, come si faceva abitualmente,
in una pozza d’acqua in località Briga. Arrivata a casa, rimane contratta e
immobile per quasi un mese. Poi dice stranezze, si contorce, proferisce
bestemmie e non prende cibo se non dopo la mezzanotte. Per il popolo non ci
sono dubbi: ha preso gli spiriti bevendo alla pozza, è una indemoniata.
Suppliche, preghiere, aspersioni non aiutano a guarire la poverina e
così, dopo circa sei anni di cui l’ultima parte passata da Mariantonia a letto,
interviene la baronessa Enrichetta Scoppa, residente a Sant’Andrea Jonio, la
quale organizza una spedizione alla Certosa di Serra San Bruno per far
esorcizzare la ragazza. Da quando, agli inizi del Millecinquecento, erano state
ritrovate le ossa di San Bruno, in Calabria si era diffuso il suo culto come
taumaturgo e liberatore degli indemoniati, chiamati anche ossessi o spiritati.
Gli esorcismi avvenivano pubblicamente con lunghi riti collettivi che si
svolgevano il lunedì e il martedì dopo Pentecoste nel lago in mezzo al quale si
trova la statua di San Bruno penitente, poco lontano dalla Certosa.
Recentemente è stata ritrovata nell’archivio della Certosa di Serra,
nel fascicolo N. XXVI, una cronaca manoscritta di 15 pagine, datata 1904.
L’anonimo cronista scrive che nel mese di giugno, verso l’anno 1894, essendo
priore della Certosa don Pio Assandro, Mariantonia viene portata per otto ore
da Sant’Andrea Jonio a Serra attraverso il viottolo di montagna. Ci sono con
lei la madre e quattro uomini che reggono le stanghe di una cassa dentro la
quale essi avevano posto a giacere Mariantonia a causa delle sue continue convulsioni.
Abbiamo anche i nomi dei quattro portatori: Antonio Mannello - la tradizione
orale parla di Vincenzo Mannello -, Vincenzo e Giuseppe Lombardo e Antonio
Frustaci.
Sant'Andrea Jonio |
Durante il tragitto a volte veniva aperta la cassa per chiedere a Mariantonia se aveva bisogno di qualcosa, ma lei non voleva nulla e diventava più agitata avvicinandosi alla meta.
La comitiva che trasportava la cassa con l’inferma giunse a Serra prima
di mezzogiorno: attraversando la strada, molta gente intenerita da quello
spettacolo seguì l’ammalata alla Certosa. Lì si fermano davanti al portone e
iniziano i riti di esorcismo in latino, praticati dall’arciprete di Amaroni che
era in visita ai certosini. La folla di serresi si unisce in preghiera, ma non
succede nulla. Nel frattempo era rientrato il priore della Certosa, che si
trovava fuori all’arrivo di Mariantonia, e prega assieme ad alcuni monaci per
cinque ore, ma senza alcun risultato. Alla fine egli ordina di andare a prendere
il busto reliquario in argento, venerato sopra l’altare maggiore della cappella
conventuale.
Quel busto contiene le reliquie di San Bruno o Brunone di Colonia. Si
tratta del fondatore dell’ordine dei certosini morto a Serra, in Calabria, dove
si era ritirato e aveva eretto la seconda certosa dopo la prima eretta a
Chartreuse in Francia.
Il busto viene posto davanti alla portineria, su un banco di pietra
sito tra l’abbeveratoio e la torre del conte Ruggero. A quel punto succede il
miracolo: Mariantonia vede San Bruno sorridente, nella sua forma naturale ma in
argento, si leva da sola, abbraccia la statua e grida: San Bruno mi ha fatto la
grazia! E si ritrova guarita. Grande esultanza; la cassa nella quale
Mariantonia era stata portata e i suoi vestiti vengono bruciati accanto al muro
della Certosa. Mariantonia ritorna a Sant’Andrea Jonio per la strada
carrozzabile di Soverato, come si usava
nei casi di liberazione dal demonio: significava abbandonare la strada
vecchia e intraprenderne una nuova.
Ma la storia di Mariantonia è solo agli inizi. In paese la vita è
durissima e Mariantonia ha una salute fragile. Dopo qualche tempo, forse
colpita da artrosi, si mette a letto, coricata sulla schiena, con le gambe rattrappite
e le ginocchia levate in alto come una montagnola. Totalmente immobile, se non
per l’uso delle mani per sgranare il rosario e mangiare qualcosa con le dita,
rimane su quel letto per … sessant’anni, fino alla morte avvenuta nel 1953.
Proviamo a stenderci su un letto, mettiamoci con le gambe rattrappite e
le ginocchia in alto e proviamo a pensare che rimarremo in quella posizione per
sessanta anni: la disperazione più nera ci stringerebbe il cuore. Non fu così
per Mariantonia che, all’età di 34 anni, perse anche la madre Marianna.
Tuttavia Mariantonia non rimase mai sola. Il popolo andreolese andò in suo
aiuto e ci fu sempre una donna pronta ad accudirla giorno e notte. Si
aggiungano le visite
giornaliere di uomini, donne e bambini, accompagnate dal dono di pane
fresco, polpette, cibi leggeri, frutta, ortaggi, ricotte, olio, che si
confacevano alla immobilità di Mariantonia, ai suoi dolori e ai forti disturbi intestinali.
Per pudore, lei non volle mai che alcun medico la visitasse nelle parti
dolenti. Inoltre i doni in cibo, a volte sovrabbondanti, venivano distribuiti
da Mariantonia ai bisognosi, trattenendo per sé solo lo stretto necessario per
il giorno ed esclamando: Pe domana Dio
provvìda! E rifiutava sempre i doni in danaro. Sul muro di fronte al suo
letto era appeso un crocefisso al quale lei si uniformava accettando, anzi amando
la sua sofferenza e invocava Cristo chiamandolo chiddhu bellu Gesù, quel bel
Gesù, espressione andreolese di grande affetto riservata alle persone più amate
e che si potrebbe tradurre con quel diletto Gesù.
La parete col Crocifisso |
Ogni mattina riceveva la comunione e tre volte al giorno, mattina, mezzogiorno
e sera, c’era nella sua casetta la recita del rosario in latino insieme con le visitatrici.
Il numero di persone che ricorrevano a lei per ottenere grazie è impressionante:
Che fine ha fatto mio figlio che è in guerra e non scrive più? E’ opportuno o
no emigrare in America? Mia figlia si vuole fidanzare con… E’ bene? Mia sorella
è malata grave, guarirà? A tutti quelli che le chiedevano tali cose lei
infondeva coraggio, dava speranza e spesso faceva loro ottenere la grazia domandata
parlando con la sua voce flebile e dolce.
Le Suore Riparatrici del Sacro Cuore, alle quali la baronessa Scoppa aveva
lasciato il suo palazzo di Sant’Andrea Jonio, la elessero loro consorella con
voti privati; da allora la sua testa fu coperta con il velo nero della congregazione
e Mariantonia fu chiamata la Monachella di San Bruno. Le Suore Riparatrici
provvedevano regolarmente a lavarla e a pettinarla.
Lei spirò nella mattinata del 27 maggio 1953, all’età di 78 anni, mentre
alcune donne stavano al suo capezzale recitando le litanie della Madonna. Non aveva
nessuna piaga di decubito, la sua pelle era tutta fresca e liscia. Rivestita di
un abito di lino bianco, fu portata in processione per le vie del paese con la
bara aperta e acclamata santa dal popolo. Nel 2003, a 50 anni dalla morte, fu
traslata dalla cappella delle Suore Riparatrici del cimitero nella chiesa
parrocchiale di Sant’Andrea, distante in linea d’aria pochi metri dalla sua
abitazione che oggi, restaurata dopo un lungo abbandono, appare come una linda
casetta dove molti vanno a pregare.
Il numero di grazie ottenute, le testimonianze dei fedeli
d’Italia e d’America è impressionante. La Monachella non mette soggezione, ci
si rivolge a lei come a una persona di famiglia, consola e dà coraggio oggi
come faceva da viva.
Molti sono i segni rilevati come: bilocazione, profumo di rose o
gelsomino, aiuto in situazioni
difficili, guarigioni miracolose. La vita di Mariantonia appare come un
caso raro nel panorama dei santi cristiani se pensiamo ai sessanta anni
ininterrotti della sua immobile degenza. La Monachella non poteva fare altro
che dire poche parole in dialetto, pregare e a volte assentarsi in estasi. Ciò
testimonia che la fede e l’amore sono capaci di trasformare una condizione
umanamente disperata in una fonte inesauribile di grazia e conforto.
Nel 2007 l’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, monsignor Antonio Ciliberti,
ha ufficialmente aperto l’inchiesta diocesana per la canonizzazione della Monachella,
costituendo l’apposito tribunale ecclesiastico, che dispone già di una vasta
documentazione di testimonianze sull’eroicità delle sue virtù, sulla fama di
santità e sulle grazie ricevute dai fedeli.
Preghiera
Signore Gesù, che hai voluto chiamare la tua serva Mariantonia a
seguirti da vicino sulla via della croce vivendo immobile a letto per sessanta
anni, concedimi di poterti amare anche nelle dure prove della vita. Ti prego
umilmente di voler glorificare questa tua serva e di accordarmi, per sua
intercessione, la grazia particolare che ti chiedo… Amen.
Grazie ricevute
Chiunque ritenga di avere ricevuto grazie per intercessione della
Monachella, è pregato di
notificarlo al: Parroco don Francesco Palaia - 88066 Sant’Andrea Jonio
CZ, tel.+39 - 0967 - 44219.
Visite alla Monachella
Sant’Andrea Jonio, nome abbreviato di Sant’Andrea Apostolo dello Jonio,
si trova in provincia di Catanzaro, 8 km a sud di Soverato. Dalla Marina si
sale per 4 km al centro storico che gode di un’impareggiabile vista sul mare.
In fondo a Piazza Castello si trova la chiesa parrocchiale, dove le
spoglie della Monachella sono tumulate nella parete di destra. La casetta della
Monachella, che si può sempre visitare durante il giorno, è nel vicolo di
fronte alla chiesa.
Le foto delle esequie sono tratte dall’archivio di Gerardo Cosentino.
La preghiera è stata composta da don Edoardo Varano.
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