1. APPROFONDIMENTO
BIOGRAFICO
di Dora Samà
L'interno della casettaprima del restauro |
Mariantonia Samà nacque il 2
marzo 1875 in Sant'Andrea Jonio, piccolo paese in provincia di
Catanzaro, e visse in condizioni di estrema povertà in una cameretta simile ad
una cella. All'età di dodici anni, seguendo
la madre in campagna, fu invasa dallo spirito "maligno", dopo
aver bevuto dell'acqua corrente tra i sassi. Viste le inutili benedizioni
impartitele anche dai frati del convento del vicino comune di Badolato, si
ricorse all'esorcismo presso la Certosa di Serra San Bruno (ora in provincia
di Vibo Valentia). Dopo alcuni tentativi del Padre certosino, Mariantonia fu
liberata dal "maligno", ma si narra che lo stesso pronunciò la frase:
"La lascio viva, ma storpia".
Trascorsi un paio di anni, Mariantonia - non si sa
se per "vendetta" di Satana... - rimase immobile a letto, fino alla
morte e, quindi, per oltre sessant'anni, in posizione supina con le ginocchia
sempre alzate e contratte.
Iniziò per lei un lungo e doloroso calvario che
sopportò con la forza dell'amore, con lo sguardo sempre rivolto al Crocifisso
appeso alla parete di fronte al letto.
Guidata dallo Spirito Santo nella comprensione del
"mistero della Croce", considerò, quindi, un dono la sua malattia,
accettando con serena rassegnazione la definitiva immobilità, che offriva a Dio
per la conversione dei peccatori, in riparazione delle loro offese e per
ottenere risposta alle richieste di coloro che cercavano conforto presso di
lei.
Il suo piccolo letto divenne un altare di offerta e
di partecipazione alla Passione ed alla Croce di Gesù: "Non sono più io
che vivo, ma è Cristo che vive in me" (Paolo - Gal.2,20).
Fu sempre assistita da volontarie, sotto il costante
controllo delle Suore Riparatrici del Sacro Cuore, che curarono anche la sua preparazione spirituale,
trasmettendole una sentita devozione verso lo Spirito Santo ed il
Sacro Cuore di Gesù, al quale Mariantonia si rivolse per tutta la
vita con spirito di "riparazione
eucaristica".
Le Suore decisero di aggregarla
alla loro Congregazione e, dopo i voti, Mariantonia divenne per tutti la
"Monachella di San Bruno".
Le virtù che hanno
caratterizzato la sua vita sono numerose: la
semplicità d'animo; l'umiltà; la modestia; la serenità, che traspariva dal suo volto anche nei momenti di maggior sofferenza; la disponibilità; la generosità ed un'immensa
fiducia nella Divina Provvidenza.
Lei, che poteva vivere solo di
offerte, divideva con gli altri bisognosi del
paese tutto quanto riceveva, sicura che il giorno successivo vi avrebbe comunque provveduto il
buon Dio e dimostrando, così, la verità delle parole di San Paolo: "Si è
più felici nel dare che nel ricevere"
(At.20,35).
La virtù esercitata da Mariantonia in
maniera estremamente eroica è stata senz'altro la pazienza che le impedì non solo
di ribellarsi alla sua infermità, ma anche
di lamentarsi quando i dolori lancinanti, specie durante la
Quaresima, da lei sempre sofferta in condivisione con Cristo, martoriavano il suo esile corpo.
Viceversa, il suo spirito era
forte, perché lo alimentava quotidianamente con la preghiera e con l'ostia che le
portava puntualmente il suo
confessore e dalla quale attingeva sostegno per sopportare la sofferenza, per lottare contro il
male e per vivere in perenne amicizia con il Signore.
La sua cameretta, con le pareti
tappezzate da molte immagini sacre, sembrava un piccolo tempio, soprattutto quando, per
ben tre volte al giorno, vi era la recita comunitaria del Santo Rosario, essendo Mariantonia "calamita" di
preghiere.
Già durante la vita, la sua fama
di santità si era diffusa tra gli abitanti del paese, molti dei quali avevano
sperimentato i suoi doni della profezia e della guarigione.
Ma oltre a questi, tanti altri
sono stati i carismi concessi a lei dallo
Spirito Santo: il dono dell'estasi; dell'introspezione; della bilocazione; del
profumo, sempre presente nella sua camera; della condivisione delle sofferenze di
Gesù durante la Quaresima e la Passione e, infine, il dono dell' immunità da
piaghe da decubito, anche questo scientificamente inspiegabile, benché fenomeno
oggettivo e visibile a tutti.
Mariantonia esalò l'ultimo
respiro la mattina del 27 maggio 1953. Le esequie si svolsero nel pomeriggio
dello stesso giorno e l'Arciprete,
don Andrea Samà, in considerazione della
fama di santità, ordinò che la salma, deposta nella bara aperta, per consentire
l'ultimo saluto dei compaesani, venisse accompagnata in processione per alcune
vie del paese, prima di raggiungere il Cimitero.
Qui rimase esposta ai fedeli
fino al mattino del 29 maggio e molti attestano di aver visto, nel baciarla,
che le sue palpebre si alzavano ed abbassavano e di aver sentito un delizioso
profumo di rose, non proveniente da fiori...
Attualmente, i sacri resti della
Serva di Dio Mariantonia Samà, assieme alla sua inseparabile corona del
Rosario, si trovano nella Chiesa
Parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo,
dove sono stati traslati il 3 agosto 2003.
Giugno 2007
2. LA FAMA DI SANTITA' DELLA SERVA DI DIO
MARIANTONIA SAMA'
di Dora Samà
La tomba della Serva di Dio nella Chiesa parrocchiale |
Secondo il mio modesto parere la santità di Mariantonia risale alla
sua definitiva malattia, da lei considerata un dono di Dio e vissuta
conformandosi pienamente alla Sua volontà.
In tale situazione le sarà stato vicino il grande Patriarca San Bruno,
il quale - dopo averla miracolata da ragazza - le avrà suggerito, da padre
tenero e premuroso, di affidarsi - nel lungo sessantennio d'immobilità - al
Signore Gesù, di contemplare il Crocifisso nel silenzio del suo piccolo
"eremo", per sopportare con pazienza il soave giogo della croce, in
cambio del Suo infinito amore per noi. Dal suo letto di dolore Mariantonia aiutava
il prossimo con la preghiera, lo consolava nelle tribolazioni, lo sosteneva con
i suoi saggi consigli, trasmetteva la sua profonda devozione verso il Sacro
Cuore di Gesù e della Vergine Santa per cui ogni persona, dopo aver saputo del
suo dono profetico e dell'assenza di piaghe dal corpo, la considerava
"santa".
Poiché viveva della carità di tutti, ogni famiglia andreolese che la
frequentava, trasmise la sua devozione alla prole, come anche fecero i miei
genitori.
Mio padre aveva due anni meno di Mariantonia: da piccolo la vedeva
crescere, correre con le coetanee e in famiglia apprese con dispiacere della
sua infermità. Da pensionato, quando visitava gli ammalati del paese, portava
anche a Mariantonia le arance e i dolcetti di "pan di spagna", preparati
in casa da mia madre, la quale riteneva importante che noi figli frequentassimo
la "santa" sin da piccoli, per acquisire maggiore sensibilità di
fronte alla povertà ed alla sofferenza dei meno fortunati. Pertanto, preferiva
affidare a noi, dal sesto anno d'età in poi, la consegna per Mariantonia del
pranzo domenicale, che le giungeva ancora morbido e caldo.
Mia sorella primogenita, Caterina, conduceva per mano il fratellino
Giuseppe, di appena cinque anni, sostituiti in seguito da mia sorella Teresina
che, infine, cedette a me l'incarico. La povera inferma aveva conquistato il
nostro cuore con l' angelica calma, la dolcezza della sua voce e, quando in
famiglia si parlava di lei, tutti ascoltavamo con interesse. Mio padre la
definiva "donna saggia, di preghiera e di grande fede",
apprezzava ogni suo suggerimento e ripeteva le sue frasi: "Bisogna
fidarsi solo del Signore", "Chi ha fede in Dio, non muore mai!"
Notavamo la disponibilità di Mariantonia tanto che da adulti le
esponevamo, senza timore, i nostri dubbi e penso che lo abbiano fatto anche mia
sorella Caterina e mio fratello (in seguito Suor Caterina "salesiana"
e Padre Giuseppe "gesuita"), nel periodo vocazionale, per avere le
sue illuminate risposte. Dopo la loro
partenza mia madre si è rasserenata, in seguito all'esortazione della Serva di
Dio, di pensarli "come due lampade sempre accese davanti al
Tabernacolo".
Nella biografia di Mariantonia da me scritta ("Una vita nascosta
in Cristo") ho accennato ad alcune sue profezie nei miei confronti, ma
riconosco d'essermi accorta della sua santità sin dalla fanciullezza e non solo
in virtù del suo dono profetico: m'incantavo a guardarla le volte in cui aveva
gli occhi spalancati e fissi al Crocifisso e riconoscevo l'atteggiamento
estatico per la sua assenza dalla realtà, perché non rispondeva al mio saluto
né prima e né dopo e non pronunciava nemmeno il solito grazie affettuoso per
mia madre. Riflettevo, inoltre, sulle interessanti notizie ascoltate da mia zia
Caterina, sorella di mio padre, quando ritornava dalla sua visita quotidiana a
Mariantonia.
Ci riferiva di alcuni eventi strani che si ripetevano puntualmente
nella sua vita e che nessuno aveva mai notato, come risulta oggi, infatti,
dalle tante testimonianze.
Sin dal primo giorno di ogni Quaresima e fino alla Santa Pasqua,
Mariantonia si asteneva dall'acqua e dal cibo e, inoltre, praticava il completo
digiuno anche durante tutti i venerdì dell'anno per vivere la crocifissione
mistica, in riparazione degli oltraggi rivolti al Sacratissimo Cuore di Gesù.
La mia certezza sulla santità di Mariantonia si è rafforzata nel giorno del suo
trapasso quando, dopo la funzione funebre, l'Arciprete don Andrea Samà, per
"unanime volere del popolo", decise che l'umile Serva di Dio - come
si usa con i santi - fosse accompagnata a bara scoperta per alcune principali
vie del paese fino al Cimitero, dove la salma rimase per ben tre giorni esposta
alla venerazione degli innumerevoli fedeli, giunti anche dai paesi vicini. In
quella circostanza la fama di santità si è manifestata nel desiderio di ogni
devoto di avere un pezzetto di velo o di vestito della "Santa" da
custodire gelosamente come "reliquia". Questo gesto, molto significativo,
risalta nella testimonianza scritta da don Andrea Samà ai margini del Registro
di morte dell'anno 1953 (atto n.26). Egli si esprime così: "Gente di
qualsiasi razza e credenza si prostrava, le baciava la mano, offriva un fiore e
altro ritirava, finché l'Arciprete è stato costretto a levarle la fascia di
figlia di Maria ed il velo, perché fossero divisi come ricordo".
Un'ulteriore conferma della santità di
Mariantonia è stata la funzione religiosa della traslazione della sua salma dal
Cimitero alla Chiesa Matrice, autorizzata il 2 ottobre 2002 dall'Arcivescovo
Mons. Cantisani e dallo stesso presieduta il 3 agosto 2003, su incarico del suo
successore, Sua Ecc.za Antonio Ciliberti. La solenne cerimonia si configura
quale riconoscimento ed omaggio della Chiesa per un'anima vissuta sempre in
concetto di santità e degna di riposare nella Chiesa Parrocchiale "SS.
Pietro e Paolo". Durante la concelebrazione eucaristica - tenutasi nel
piazzale antistante la chiesa, per la grande affluenza di fedeli - l'Arcivescovo
emerito, Mons. Cantisani, si è soffermato con entusiastico fervore sull'eroismo
delle sue numerose virtù e l'ha indicata ai presenti come modello da seguire
nel cammino del pellegrinaggio terreno.
Castelfranco Veneto, 29 giugno 2011
3.
UNA
FEDELISSIMA AMICA DI GESU’: MARIANTONIA SAMA’
di Dora Samà
Il bel Gesù della Serva di Dio |
La Serva di Dio visse in condizioni di estrema
povertà in una piccola casetta, sita in un vicolo angusto e composta da un
unico vano, privo dei servizi di acqua e di luce. Da fanciulla trascorse le
giornate in modo spensierato con le sue coetanee e aiutando la mamma nel lavoro
dei campi. A dodici anni la sua vita fu sconvolta da un insolito avvenimento:
bevendo dell’acqua corrente in una conca del terreno, si sentì tormentata nel
corpo e nell’anima. Ne uscì vittoriosa dalla possessione diabolica in seguito
all’esorcismo presso la Certosa di Serra San Bruno. D’allora Mariantonia
ritornò serena, ma solo per un paio di anni perché un giorno, non riuscendo più
a reggersi in piedi, rimase a letto definitivamente immobile, in posizione supina
con le ginocchia alzate e contratte, per circa 60 anni fino alla morte (27
maggio 1953), senza avere mai una piaga da decubito.
Iniziò per Mariantonia un lungo e doloroso calvario
vissuto nel silenzio e nel nascondimento e sopportato con la forza
dell’amore di Dio, con lo sguardo rivolto sempre al Crocifisso appeso alla
parete di fronte al letto, che divenne un altare di offerta e di partecipazione
alla Passione di Gesù. Guidata dallo Spirito Santo nell’intelligenza del mistero
della croce, Mariantonia considerò la sua malattia come un dono di Dio, senza
mai lamentarsi. Ciò le consentiva di alimentare la sua fede e di trarre
l’energia necessaria per affrontare quei mali fisici che, spesso,mettevano a
dura prova il suo corpo gracile e debilitato. Quando rimase orfana anche di
madre, si occuparono di lei le Suore Riparatrici del Sacro Cuore residenti in
paese, facendola seguire da un Sacerdote. Questi le portava ogni mattina la S.
Comunione, mentre le Suore le facevano ascoltare il Vangelo, la vita dei Santi
e l’aiutavano a completare la sua formazione cristiana.
Dopo aver preso atto
della sua preparazione e del suo desiderio, le Suore decisero di aggregarla
alla loro congregazione mediante i voti e la consegna del velo nero, usato da
Mariantonia anche di notte. Da quel momento fu chiamata da tutti “la
Monachella di San Bruno”.
Per la sua fama di
santità diffusa da tempo tra la popolazione, ogni persona angosciata sentiva il
bisogno di confidarsi con la “Monachella” che trovava sempre le parole adatte
per confortare, per infondere serenità, fiducia e rassegnazione alla volontà di
Dio. Anch’io, pur sapendola priva d’istruzione, ho seguito, fin da ragazza, i
suoi saggi consigli considerandoli dettati dallo Spirito Santo. Purtroppo, nessun
sacerdote dell’epoca, nemmeno i suoi confessori, si preoccuparono di tenere un
diario sugli eventi straordinari o sui fenomeni strani che si manifestavano in
quell’anima eletta, la quale viveva in umiltà una profonda vita mistica.
Mariantonia affrontò la sua vocazione al dolore con eroica pazienza, per la
conversione dei peccatori, per le necessità della Chiesa, per rendere più
efficace il suo apostolato di carità evangelica verso il prossimo e per l’unità
delle famiglie, che tanto le stava a cuore. Vari episodi testimoniano la
prontezza con cui Mariantonia interveniva per salvare, con la sua preghiera, la
sacralità del vincolo matrimoniale delle coppie in crisi. La sua vita esteriore
è stata per tutti come un libro aperto, mentre quella interiore - sempre
avvolta nel mistero - continua a racchiudere in sé i segni del soprannaturale,
perché si tratta di quella “vita nascosta con Cristo in Dio” di cui parla l’apostolo
Paolo nella Lettera ai Colossesi (3,3) e che sfugge ad ogni scandaglio dell’intelligenza
umana.
Dopo la morte di Mariantonia nessuno tra
gli abitanti del posto, ha pensato di fare una ricerca accurata dei fatti e
degli episodi straordinari della sua vita. Ho cercato di tracciare un profilo
più completo della sua personalità, servendomi dei miei ricordi, delle notizie
apprese da mia zia Caterina, che la frequentava spesso e delle testimonianze
dei miei compaesani. Sono emersi episodi
straordinari, interventi ritenuti miracolosi dagli stessi medici e tanti
carismi, concessi a Mariantonia dallo Spirito Santo. Oltre al dono della
profezia e dell’immunità dalle piaghe, Mariantonia possedeva quello delle guarigioni,
dell’estasi, dell’introspezione, del profumo, della bilocazione e, soprattutto,
dell’assimilazione di sé stessa con il Signore Gesù sofferente e crocifisso, tanto
da potersi applicare pienamente a lei le parole di San Paolo: “Non sono più io
che vivo, ma è Cristo che vive in me”. (Gal.2,20). Le ginocchia alzate e
contratte di Mariantonia si opposero, anche dopo la morte, ad ogni tentativo di
abbassarle, come per impedire di modificare una situazione permessa da Dio,
perché restasse un segno indelebile del suo lungo martirio.
Cessò di vivere alle ore 10.00 del 27
maggio 1953, dopo una settimana di grande sofferenza. Le sue sacre spoglie,
traslate dal cimitero il 3 agosto 2003, riposano, assieme alla sua inseparabile
corona del Santo Rosario, nella Parrocchia “SS. Pietro e Paolo” di Sant’Andrea Jonio.
Nel mese di novembre 2006, l’Ecc.mo Mons. Antonio Ciliberti, Arcivescovo di
Catanzaro Squillace (CZ), ha nominato come postulatore don Vincenzo Manzione,
della Diocesi Teggiano - Policastro (SA) e il 9 febbraio 2007 ha costituito il
Tribunale per la deposizione di testimonianze di quanti la conobbero. Nel
pomeriggio del 5 agosto 2007, nel corso di una concelebrazione eucaristica
nella chiesa parrocchiale, l’Arcivescovo ha annunciato ufficialmente l’apertura
del processo di canonizzazione della Serva di Dio Mariantonia Samà. Invece, il
1° novembre 2008 Sua Eminenza il Cardinale Angelo Bagnasco, costituiva il
Tribunale ecclesiastico, per istruire un processo sul presunto miracolo
avvenuto nella Sua Diocesi per intercessione della Serva di Dio. L’inchiesta
diocesana si è conclusa il 2 marzo 2009 e la documentazione è stata depositata il
12 ottobre successivo a Roma, presso la Congregazione per le Cause dei Santi,
dove si trova anche quella relativa al miracolo, inviata dopo la chiusura del
Tribunale, avvenuta il 23 dello stesso mese.
Castelfranco Veneto, 23 ottobre
2010
4. MARIANTONIA
SAMÀ E NATUZZA EVOLO
due calabresi autentiche seguaci di Gesù
di Dora Samà
La casetta (tugurio) della Serva di Dio (12 m.q) |
Pur umili creature, hanno risposto con
prontezza alla sua chiamata, abbracciando con giubilo la croce per offrirGli la
sofferenza, ritenuta un suo dono, in cambio del suo infinito amore. Le mie
frequenti visite a Mariantonia mi hanno consentito di conServar vivo ogni
ricordo, ogni sensazione e l’ammirazione per la sua serena accettazione
dell’immobilità, che la tenne inchiodata al letto per sessant’anni, sin da
fanciulla, sempre nella posizione supina, con le ginocchia alzate e contratte.
Non ho mai dimenticato l’espressione angelica del suo volto quando, assente
dalla realtà, rimaneva per ore assorta con lo sguardo al Crocifisso, in diretta
ed intima comunione con il suo “bel Gesù” né ho dimenticato le frasi che
ripeteva spesso e che poi ho ritrovato leggendo i diari di alcuni Santi,
sentendo i racconti di alcuni veggenti ed anche nei messaggi che Natuzza
riceveva da Gesù e dalla Vergine Santa, specie nel periodo della quaresima.
Natuzza - che pur si definiva per umiltà “verme di terra” - mi parlava con
semplicità e naturalezza dei fenomeni strani che in lei si verificavano e io le
sono infinitamente grata per avermi aiutata, con il racconto degli episodi
soprannaturali della sua vita, a comprendere la vita “avvolta nel mistero” di
Mariantonia Samà, la quale negava di avere visioni mistiche, mentre a
confermarle ci sono recenti e attendibili testimonianze. Nello scrivere la sua
biografia “Una vita nascosta in Cristo” ho così scoperto che, tranne la
sudorazione ematica e le stimmate, Mariantonia aveva in comune con Natuzza,
oltre all’origine
calabrese ed alla devozione per San Francesco
di Paola, numerosi carismi e diverse virtù,
che esercitava, come lei, in modo estremamente eroico.
Entrambe hanno svolto un fecondo ed intenso
apostolato nella rispettiva modesta abitazione, con l’amorevole ascolto delle
angosce di tanti fratelli, bisognosi di una parola di conforto. Avevano la
grande capacità di infondere serenità, speranza, fiducia nel Signore ed
esortavano tutti alla fedeltà dei precetti evangelici, al compimento della
divina volontà e alla carità operosa verso il prossimo. Devotissime del Santo
Rosario, da loro definito “arma potente contro il male, utile per la pace nel
mondo e per il trionfo del Regno di Dio”, hanno diffuso il Suo culto
consigliandone la recita quotidiana, soprattutto comunitaria.
Le due “innamorate di Gesù Crocifisso” partecipavano
alla sua passione sopportando atroci dolori e digiunando per tutto il periodo
quaresimale e vivevano, inoltre, anche “la crocifissione mistica” tutti i
venerdì dell’anno, offrendo la sofferenza ed il digiuno in riparazione degli
oltraggi dei peccatori contro il Sacratissimo Cuore di Gesù. Come tanti Santi,
possedevano il dono del profumo, ma mentre quello di Natuzza è stato avvertito
durante la sua esistenza, sembra che quello di Mariantonia si sia manifestato
solo dal giorno della sua morte. Anche il 5 agosto 2007 — giorno in cui da
parte dell’Ecc.mo Mons. Antonio Ciliberti, Arcivescovo di Catanzaro-Squillace,
è stata annunciata ufficialmente, nella Chiesa Matrice di Sant’Andrea Ionio,
l’apertura del relativo processo di canonizzazione — l’umile casetta di
Mariantonia è stata pervasa da un odore soave, nel quale prevaleva la fragranza
di rose. Successivamente, il profumo di Mariantonia ha assunto una fragranza di
vaniglia, identica a quella riferita alla presenza di Natuzza e si è avvertito
sia all’interno della sua modesta casetta, sia in tutto il vicolo antistante,
quasi come se la Serva di Dio volesse andare incontro ai suoi devoti
visitatori. La mia esperienza personale nel percepire il profumo di queste
anime elette si riferisce a Mariantonia e a Natuzza: ho avvertito il profumo di
Mariantonia nella sua casetta nell’estate 2007 e quello di Natuzza intorno al
1980 nella mia abitazione di Napoli, ricevendo poi da lei la sua conferma
telefonica della sua venuta “spirituale”. Durante una mia successiva visita
nella sua casa di Paravati, dopo averle mostrato un’immaginetta della
Monachella, senza alcuna esitazione, l’ha subito definita “santa in Cielo per
aver sofferto in vita per amore di Gesù”. Sono, quindi, certa che Natuzza, dal
Regno dei beati pregherà affinché Mariantonia sia ora dichiarata formalmente Santa,
anche sulla base del riconoscimento, quale miracolo, della guarigione
istantanea ottenuta, per sua intercessione, da una signora residente a Genova.
Tutti noi pregheremo, invece, con fiducia la S.S. Trinità affinché — a maggior
Gloria di Dio e a beneficio delle nostre anime — sia Mariantonia Samà che
Natuzza Evolo, fedelissime discepole del Divin Maestro, vengano presto entrambe
proclamate sante dalla chiesa per i loro numerosi meriti e la diffusa fama di
santità.
Castelfranco Veneto, 11 giugno 2010
Festa del Sacro Cuore di Gesù
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