di Don Edoardo Varano
1. Profilo spirituale
1. Ho conosciuto di persona da concittadino e da sacerdote Mariantonia Samà. Era una persona
semplice, umile, priva di cultura, nell'impossibilità di leggere e scrivere. A ciò si aggiunga
ch'essa nessuna attività esterna poté svolgere fuori dal suo poverissimo
tugurio di appena 12,68 metri quadri, dove per 60 anni rimase a letto senza
fare mai piaghe di decubito.
E, perche santa ritenuta, i fedeli accorrevano numerosi al
suo capezzale per avere notizie sui congiunti in zona di guerra o per ricevere
consigli in particolari loro bisogni. Le sue risposte brevi e precise, dette a
voce flebile, trovavano sempre puntuale riscontro nella realtà.
2. Straordinaria fu
la sua vita spirituale, alimentata, come a viva sorgente, dalla preghiera
personale e silenziosa che si trasformava in contemplazione. Non mancava mai la
recita del S. Rosario tre volte al giorno assieme a fedeli presenti. Ma il
momento più importante della giornata era senza dubbio quello della S.
Comunione, che un anziano e santo sacerdote tutte le mattine di buona ora le
portava.
Chi per caso era presente notava un
singolare mutamento del suo volto tanto da sembrare morta. In realtà, appariva all'esterno quell'invisibile,
intima unione col "dolce Gesù" come solitamente ripeteva. A questa
unione, però, era pervenuta attraverso l'acuta sofferenza, che giorno e notte
affliggeva il suo gracile corpo senza mai darle tregua.
Stare immobile a
letto per 60 anni, senza potersi rivoltare d'un centimetro, tenendo in alto le
ginocchia e ferme le braccia sul petto, ha dell'impossibile. Eppure, nessun
lamento, nessun rifiuto, nessuna parola di stanchezza.
La forza e la gioia
di soffrire l'attingeva da Gesù Crocifisso appeso sulla parete di fronte, su
cui erano costantemente fissi i suoi occhi.
La gente aveva ben
capito che in quella fragile carne dimorava il "Divino" e per questo
accorrevano a lei anche sacerdoti, religiosi e finanche vescovi.
3. Abbiamo una luminosa conferma della diffusa fama di santità
della Serva di Dio, anche in vita, considerando l'imponente partecipazione
popolare in occasione delle sue esequie svolte, a cassa scoperta, prima per le
vie del paese a mo' di processione sacra, poi in chiesa e infine in corteo fino
al cimitero.
A riguardo, non posso fare a meno di trascrivere lo
scritto, il solo che possediamo sulla Serva di Dio e sconosciuto purtroppo fino
ad oggi, lasciatoci dal Parroco del tempo Arciprete Don Andrea Samà. Si trova,
cosa insolita, a margine dell'atto di morte di Mariantonia Samà, e ritenendo
sia la testimonianza più qualificata, la riporto ad litteram come giace nel
libro. Eccola:
"N° 26 — Samà Mariantonia (morta il 27 maggio 1953)
Morta
in concetto di santità, non appena spirata, l'oscuro tugurio in Via Cassiodoro,
che l'aveva vista nascere, crescere ed invasa
dal demonio a 15 anni circa, è diventato luogo sacro di un affollarsi
soffocante di popolo che faceva forte pressa di penetrarvi per vedere le
spoglie angeliche della Santina di S. Bruno. Era così chiamata perché, invasa
dal demonio, a cura della Baronessa Scoppa e del Barone De Iorio, nipote, era
stata condotta a Serra S. Bruno e sul lago omonimo liberata dal demone.
D'allora in poi, rimase sempre a letto nella posizione supina fino alla morte,
senza aver una sola piaga di decubito.
Spirava alle ore 10 (dieci); è stata trasportata al
cimitero alle ore 16,30 a cassa scoperta; per unanime volere del popolo è stata
posta nella Chiesa delle Ven. Suore Riparatrici meta di continuo pellegrinaggio
fino alle ore undici del giorno 29.
Gente di qualsiasi classe e credenza si prostrava, le
baciava la mano, offriva un fiore ed altro ritirava, finché l'Arciprete (cioè
lo scrivente Don Andrea Samà) è stato costretto a levarle la fascia di figlia
di Maria e il velo nero perché fossero divisi come ricordo.
Molti asseriscono di averla vista aprire e chiudere gli
occhi. Immediatamente prima della saldatura della cassa di zinco,
in cui è stata rinchiusa, la gente asciugava il sudore che bagnava leggermente il corpo, ed io, Arciprete Andrea Samà, ho dovuto
constatare che il velo da me tirato per essere diviso alla gente, era realmente
addirittura inzuppato, come ho fatto constatare a certo Cosentino Gerardo che lo
tagliuzzava con le forbici.
Fino al momento della saldatura, alle ore 11 del
29-5-1953, non si sentiva cattivo odore".
2. Alcune precisazioni
1. Riguardo alla
natura della malattia che colpì Mariantonia Samà, si ritiene difficile fare una
diagnosi precisa, sia perché trattasi di una persona vissuta da più di un secolo sia
perché mancano documenti e riferimenti clinici del passato. Nonostante questa
situazione anomala, il Dott. Giuseppe Stillo, dopo lunghe, approfondite
ricerche e riflessioni ha rilasciato una diagnosi-ipotesi che viene allegata a
parte. La mancanza di riferimenti clinici del passato non stupisce se si tiene
presente che la Serva di Dio ha sempre
ostinatamente rifiutato visite mediche sul suo corpo, tanto forte era in lei il
sentimento profondo di pudicizia. Si spiega così il fatto
che solo le Suore Riparatrici del luogo potevano effettuare la sua pulizia
personale o ravviare i capelli. Lo conferma anche il Sac. Don Tito Voci nativo
di S. Andrea che nel suo libro "Indagine
storica di S. Andrea ", in
un capitolo dedicato alla "Monachella di San Bruno" a pag. 191 scrive
tra l'altro: "In opposizione
allo stato di ossessa, si sviluppò in lei l 'amore alla purezza che custodì
sempre, un orrore istintivo al peccato e al demonio –quella brutta bestia –
come diceva ".
2. Riguardo all'esorcismo, non v'è dubbio che è stato effettuato a
causa delle strane e irriverenti manifestazioni da tutti ritenute diaboliche. Non
si spiega altrimenti la rischiosa iniziativa della Baronessa Scoppa del luogo,
donna colta, intelligente e religiosa, di organizzare, certamente con l'assenso
dei Sacerdoti, il trasporto della ragazza in una specie di cassa, facendo
affrontare un viaggio di 8 ore a piedi attraverso la nostra montagna, servita
solo di viottolo mulattiero. Conosciamo, infatti, nomi e cognomi dei 4
portatori, tutti di S. Andrea, come si ricava dalla fotocopia del documento
manoscritto, conServato in originale nella biblioteca della Certosa di Serra
San Bruno. E' anche certo che la ragazza,
ritornata in paese dopo il felice esito dell'esorcismo, condusse subito vita normale dedicandosi ai comuni lavori
(attingere acqua alla fonte, trasportare legna, raccogliere olive). Dopo circa
2 o 3 anni, cominciò ad avvertire forti dolori alle gambe e ginocchia ritenuti
allora forme artritiche, per cui furono consigliati, come allora era uso fare,
bagni di sole e sabbiature sul litorale del nostro vicinissimo mare Jonio. Queste cure, purtroppo, non sortirono l'effetto sperato,
anzi aggravarono tanto la situazione da
costringere la ragazza a trovare sollievo a letto, mantenendo le gambe
contratte. Questa posizione immobile l'accompagnò
per 60 anni fino alla morte e - cosa straordinaria - senza fare mai piaghe da decubito. Non sappiamo se la
scienza medica possa dirci qualcosa in merito! Resta però il fatto che la Serva
di Dio, inchiodata a letto, accettò il suo martirio e calvario senza mai
lamentarsi, felice di soffrire con Cristo Crocifisso, "il suo bel
Gesù", come soleva ripetere. Nell'amore
sofferente si purificò fino a raggiungere l'unione più intima e perfetta con Cristo nello stato mistico. In questo lungo atto di amore sofferente consiste
essenzialmente la sua santità. Fatti e circostanze che l'accompagnarono,
spariscono davanti al mistero di Dio, che da ciò che è piccolo e ignobile
sa trarre cose grandi incomprensibili a livello umano.
3. Prima di parlare dell'assistenza delle donne alla Serva
di Dio, si deve accennare al luogo dove essa veniva prestata. Questo non
può chiamarsi né casa né casetta ma solo tugurio. Posto a
piano terra è racchiuso in 12 mq più
un sottotetto raggiungibile con scala a pioli. In questo poverissimo tugurio,
con pochissima luce esterna, nacque, visse e morì la Serva di Dio. Dopo la morte della madre che l'assisteva, si rese
necessario dividerlo per creare un piccolo
ambiente per far riposare di notte le buone donne e collocare un focolarino per
cucinare o riscaldare le vivande, che i buoni e generosi fedeli del paese senza
tregua portavano alla "Monachella di San Bruno". Le donne, che si
sono succedute una dopo l'altra nell'assistenza, erano tutte anziane e di
provata fede religiosa. Prestavano il servizio di carità gratuitamente fino a
quando le loro forze fisiche lo consentivano, convinte che ciò facevano verso una
persona ritenuta da tutti una santa. I loro nomi sono riportati, in gergo
dialettale, nella biografia scritta da Dora Samà ("Una vita nascosta in Cristo" - pag. 32); e in quella scritta dal Sac. Gerardo Mongiardo ("Mariantonia Samà, 60 anni di amore crocifisso
" - pag. 43).
4. La Serva di
Dio ha trascorso la sua vita nel più
assoluto nascondimento e silenzio senza beneficiare mai di
pubblicità o provocare rumore esterno. Per lei nessuno ha fatto propaganda e
anche nello stesso ambiente ecclesiastico diocesano, fu completamente ignorata.
Al contrario la sua fama di santità è stata costantemente
riconosciuta dal popolo e dai sacerdoti di S. Andrea a lei devotamente vicini. Diversi
testi de visu concordemente e in coscienza affermano che la Serva di Dio è veramente una santa.
Questo il comune
sentire e la convinzione del popolo di S. Andrea, per cui anche qui vale
ripetere: vox populi, vox Dei.
Sulla fama di santità della Serva di Dio, non vi è alcun dubbio.
E' sufficiente ricordare e rimarcare alcune note:
A.
Nel Registro
Parrocchiale dei morti al n° 26, il Parroco del tempo Sac. Andrea Samà che conosceva bene la "Monachella di San Bruno"
perché la frequentava, a margine
dell'atto di morte (cosa insolita) inizia così la sua testimonianza:
"Samà Mariantonia morta in concetto di santità" ...
Questa è la
testimonianza più qualificata e
convincente che conserviamo, fatta dal Parroco del tempo, portavoce di tutta la
comunità parrocchiale. Essa è molto importante perché di indiscusso valore probatorio circa la fama di
santità della Serva di Dio.
B.
In occasione della
traslazione dei resti mortali della Serva di Dio dal cimitero al paese (3
Agosto 2003) avvenuta con la partecipazione imponente dei fedeli (c'ero
anch'io), il Vescovo S.E. Mons. Antonio Cantisani celebrò la S. Messa nella
piazza affollata, con l'urna deposta ai piedi dell'altare.
Questa, dopo la cerimonia, fu portata
alla vicina Chiesa Parrocchiale per essere in essa tumulata. Non si può pensare che un
Vescovo abbia permesso, a cuor leggero, la reposizione in Chiesa dei resti
mortali della Serva di Dio se non fosse stato profondamente convinto della sua santità.
C.
Scrivere due
biografie sulla "Monachella di San Bruno" da parte di un Sacerdote e
di una laica senza avere prove sufficienti sulla fama di santità,
sarebbe stato aberrante impostura e
mancanza di rispetto verso i lettori.
D.
I continui devoti
visitatori alla tomba e al vicino tugurio della "Monachella di San
Bruno", ora decorosamente ristrutturato, confermano la sua fama di santità.
Il misero tugurio fu il suo deserto spirituale per 60
anni, vissuto nell'estrema povertà, nel nascondimento, nel silenzio e nell'umiltà,
alimentati da una interminabile sofferenza amata con Cristo Crocifisso. Questa
la particolare nota della sua santità. Da
quel letto la Serva di Dio lancia oggi un messaggio liberatorio a questa nostra
società assetata di potere, denaro ed
edonismo. Per la Calabria, in particolare, è un
forte richiamo ai valori umani e cristiani tanto necessari per la sua attesa
rinascita.
3. Perchè il ritardo della Causa di beatificazione?
Il motivo principale
per cui, dopo la morte della Serva di Dio Mariantonia Samà avvenuta 27/05/1953,
il Processo è iniziato dopo 54
anni, è perché nessuno si è interessato. Come spiegare? Anzitutto c'era una subcultura in Calabria che
riteneva difficile in quei tempi (oggi tutto è cambiato)
ottenere il riconoscimento ufficiale della Chiesa sulla santità di una persona.
Pur sapendo tutti che la Serva di Dio fosse una santa, nessuno, purtroppo,
prese l'iniziativa di introdurre la causa di beatificazione. I diversi vescovi
che si sono succeduti nelle due diocesi di Catanzaro e Squillace, non hanno
prestato, dati i loro impegni, spiccata attenzione alla nostra Serva di Dio, umile e nascosta, vissuta immobile a
letto per 60 anni in un poverissimo ed
angusto tugurio. Neppure i parroci e sacerdoti
del luogo, pur consapevoli della santità della nostra Mariantonia, hanno mai vagheggiato l'idea di un possibile processo di beatificazione.
A sollevarne il problema sono stato io e alcuni ferventi laici che abbiamo
trovato entusiastica accoglienza nel vescovo Mons. Antonio Cantisani che, tra l'altro,
in data 3 Agosto 2003, compì la reposizione
dei resti mortali della Serva di Dio nella Chiesa Parrocchiale dei SS. Apostoli
Pietro e Paolo in Sant'Andrea Jonio. Mi auguro presto la felice conclusione del Processo
in corso per la Beatificazione della nostra Serva di Dio, uno dei tanti
gioielli di questa tormentata Calabria,
capace anche di esprimere intelligenza e santità.
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