(La Guarigione della giovinetta di S. Andrea[1] è un saggio scritto da un monaco-cronista di Serra San Bruno nei mesi di luglio-agosto 1904. Si trova presso l'Archivio della Certosa
di Serra San Bruno, nel fascicolo n. XXVI).
Verso l’anno 1894, mese di
giugno, essendo Rettore il Padre Don Pio Assandro[2],
fu portata alla Certosa una giovinetta Maria Antonia Samà, fu Bruno e di
Marianna Vivino, nata a S. Andrea sullo Jonio, di rimpetto e vicino al mare
quasi di mezz’ora, sulla ferrovia, provincia di Catanzaro, diocesi di Squillace
(Calabria) di popolazione all’incirca di 5000 abitanti, forse un po’ meno[3], tutti
contadini non molto agiati. Maria Antonia aveva allora circa di 15 anni[4] di età ed
era ammalata di 5 anni[5]. Costì fu
benedetta ed esorcistata.
Ella racconta[6] che il P.
Priore cogli altri Padri e con molta gente di Serra faceva preghiera innanzi a
S. Bruno, la cui statua fu condotta presso la porteria, perché l’inferma
giaceva nella cassa innanzi alla porteria.
Dopo alcune preghiere,
l’inferma da sé si alzò dalla cassa e colle braccia spalancate si abbracciò
alla statua di S. Bruno e si sentì meglio.
L’inferma assicura che,
presente il P. Priore, vide apparire S. Bruno nella sua forma naturale ma (non)[7] in
argento, aveva il volto allegro, e che immediatamente fu guarita. Ella gridò
dicendo: San Bruno mi ha fatta la grazia e poi a tutti che la visitavano
assicurava di avere veduto San Bruno e ricevuta la guarigione e così restò per
circa due anni[8].
Dopo 15 giorni il P. Priore venne qui a
Sant’Andrea a visitare l’inferma che trovò quasi sana: aveva portato un gran
libro, di cui poi non se ne servì affatto ed era accompagnato dal sign. Barone
di Giovanni da Jonio e da un garzone della Certosa. Alla Certosa fu
accompagnata dalla madre Marianna Vivino e da quattro uomini che portavano la
cassa e si chiamano: Antonio Mannello, Vincenzo e Giuseppe Lombardo, Antonio
Frustaci. E vi era molta gente di Serra, uomini e donne. La cassa con tutti gli
abiti fu bruciata alla Certosa lì per lì.
Le informazioni sulle date mi vennero date dal P.
Superiore del Collegio dei Padri Redentoristi di sant’Andrea, a cui mi ero
indirizzato e le ricevei dapprima il 12 di Luglio del presente anno 1904[9]. Ma come
alcuni riscontri erano importantissimi di bel nuovo mi rivolsi all’istesso
Padre[10], il quale
ebbe la cortesia di portarmi la
risposta nel giorno della solennità di
Sant’Anna, accompagnatosi da due padri del suo Convento, il Padre Antonio di
Corte del SS.mo Redentore e il Padre Salvatore di Corte del SS. Redentore.
Riguardo allo stesso
miracolo ecco la narrazione del nostro barbiere De Francesco Giuseppe di Serra.
Essendo sulle mosse di ritornare al paese, fattosi la barba a tutti, il P.
Priore mi dice: Prendete il Santo Padre e portatelo alla porteria e quando ve
lo dirò lo recherete presso l’inferma. Intanto il Padre Priore con la stola e
un libro si fece innanzi all’ossessa e dopo qualche preghiera accennò a
Giuseppe di portare il Santo Padre. Ma nell’aspettare il momento, proprio
Giuseppe l’aveva messo sopra un banco di
pietra presso l’abbeveratoio (che oggi anche serve ai buoi) che era vicino alla
cisterna ancora esistente fra la cappella delle donne e la torre del conte
Ruggero (oggi ha 49 anni di età). Al segno del P. Priore Giuseppe afferra il Santo
Padre. Ad ogni costo non poté né portarlo via né muoverlo. L’anzidetto busto,
che pesa soltanto alcune libre, era sul momento un peso di forse ottanta Kili.
Invano fa facendo sforzi per levarlo, e non potendolo, egli chiama a sé il
Padre Priore, e tutti e due subito lo levarono, ma non senza fatica e lo
portarono sopra un buffettino messo apposta davanti all’inferma sempre nella
cassa. Era presente soltanto Fra Pietro, il portinaio (che è anche oggi) e
Giuseppe. Se Maria Antonia ha detto nella sua narrazione al Rev. Padre
Superiore (dei Redentoristi) Don Carmine
Cesarano che i padri della Certosa con molta gente erano presenti, questa non è
una difficoltà. Lo spiegherò alla fine. Dunque Giuseppe che io sono andato a
trovare nella calzoleria della casa, vicino alla cella nostra, (perché egli è
anche calzolaio) un po’ prima delle nove, giovedì 28 luglio[11],
mi diede una ripetizione della scena e accomodandosi subito sul pavimento, come
se fosse nel letto, una sedia quale guanciale, le braccia stese lungo il corpo
e le mani appresso a poco giunte. Ecco il santo Padre è presente: poco dopo
l’inferma fece delle scosse colle mani e colle braccia e poi con tutto il corpo[12], ma poco
tempo, e subito dopo s’alzò da se stessa e abbracciando il busto,
inginocchioni, si sentì meglio[13]. Tutti i
presenti commossi pregarono con essa, lodando Dio, pregando il santo Padre per la grazia fatta alla giovinetta. Si può
supporre che sull’istante vennero quivi gli altri padri, che erano Dom.
Benedetto D’Errico, attuale custode di Firenze Napoli, Dom. Giovanni Antonio
Cortì, procuratore, e un altro Padre, di cui non si ricorda il nome. Ma al mio
parere credo che erano presenti soltanto il P. Priore e fra Pietro, e che
l’inferma non sapendo nulla della Comunità ha potuto credere e dire col vedere due monaci: “i padri erano presenti”.
Riguardo alla gente di
Serra che l’inferma ha detto essere presente, nessuno di Serra era stato fatto
consapevole della venuta di quelle persone e, com’era proprio l’ora del pranzo,
ciascuno lo prendeva in casa sua. Di modo che, fatto il miracolo, Giuseppe se
ne andò piangente a casa sua e strada facendo diceva: il santo Padre ha fatto
un miracolo; il santo Padre ha dato la grazia a un’ossessa; e subito la gente
accorse affollata alla Certosa e vide anche la scena, e tutti inginocchioni
pregavano accanto al santo Padre e alla giovinetta. Ecco come possono
conciliarsi tutti e due i racconti. La cassa con tutti gli abiti furono
bruciati quivi; e Giuseppe che vide gli avanzi del fuoco, assicura che il luogo
era proprio contro il muro, vicino dov’è la cappella delle donne.
Appena la giovinetta
arrivò a Sant’Andrea, la notizia della sua guarigione si diffuse nel paese; la
gente si smosse e s’affrettò a visitare l’inferma di ieri. E a tutti ripeteva
come San Bruno le aveva fatta la grazia. Maria Antonia fu dunque immediatamente
guarita e così restò per circa due anni. Però dopo cadde nuovamente inferma,
affetta da altre malattie[14], che la
tengono immobile a letto da circa otto
anni. Il P. Superiore di S. Andrea nella sua lettera del 12 luglio scrive: E’ un fatto meraviglioso. Questa giovinetta
di misera condizione che abita un bugigattolo, cioè una casa angusta, senza
aria e priva di tutti i mezzi, si mantiene calma, serena tra i dolori
dell’infermità e soltanto desidera ricevere Gesù Cristo spesso nella santa
Comunione. Ogni volta che vado a riconciliarla assisto a uno spettacolo
consolante di tanta conformità alla volontà di Dio[15].
La casa-bugigattolo |
Ora essa conta circa 25 anni; per vivere è assistita dalle limosine[16] della
baronessa Scoppa, dai Padri redentoristi e forse da alcuni altri.
Aggiungerò ivi che la sera
del 26 di luglio, avendo accompagnato col padre Procuratore Dom. Giovanni della
Croce, i padri di sant’Andrea a Santa Maria[17],
il Padre Superiore, parlandomi della casupola che abitava la povera inferma, mi
indicò sul suolo, sulla terra l’estensione che poteva avere quella casupola e
credo che lo spazio non poteva oltrepassare 6 metri quadri[18].
Nell’ultima mia lettera al
Padre Superiore unii per l’inferma un’immaginetta di San Bruno e ne fu
contentissima. Ma essa volle di più e domandò una reliquia del santo Padre, per
quanto fosse piccola. E come io avevo nell’oratorio della cella, fra altri, un
piccolo reliquiario di legno, lo assegnai al Padre per l’inferma sua filiana e
tanto fu la di lui soddisfazione, che possiamo già presentire la gioia della
poveretta; ben presto lo sapremo.
Fin qui non abbiamo detto
perché Maria Antonia venne portata alla Certosa dentro una cassa o piuttosto
una bara. (Questo) avvenne perché, coll’essere ossessa, faceva delle scosse,
aveva delle convulsioni[19] che
avrebbero reso impossibile un viaggio tanto lungo. Ma durante il viaggio, di
quando in quando, schiudevano la bara per domandarle se non le occorresse nulla
ed essa rispondeva… “niente” e faceva gesti d’impazienza. E quanto più
s’avvicinavasi alla Certosa, tanto più diveniva furiosa[20]. In S. Andrea il ricordo della guarigione non
si dimenticherà più fino alla morte di Mariantonia, perché in quella borgata è
chiamata l’ammalata di S. Bruno. Nella
sua risposta, 8 agosto, il P. Superiore di S. Andrea dà le seguenti
interessanti notizie: La madre dell’inferma mi riferisce che la figlia aveva 11
anni: e un giorno andando con altri parenti al mulino fu presa dall’ossesso[21] che la
ridusse contratta e immobile per quasi un mese. Ma poi il demonio la molestò
per circa sei anni in maniera orribile, strapazzandola e facendole pure
pronunziare delle orrende bestemmie[22].
Non poteva prendere cibo se non a mezzanotte. Così poi si determinò condurla
alla Certosa nel mese di giugno 1894. Prima di essere condotta costà, giaceva a
letto[23] e la
cassa fu usata soltanto per il viaggio alla Certosa. Il viaggio di andata fu
fatto per la montagna, impiegandosi circa 8 ore; il ritorno si attraversò la
via rotabile di Serra-Soverato. Rettifico la contraddizione osservata da
cotesto barbiere. La madre della giovinetta mi asserisce che la comitiva che
traportava la cassa con l’inferma giunse a Serra prima di mezzogiorno.
Attraversando la strada, molta gente intenerita da quello spettacolo, seguì
l’inferma alla Certosa, dove non fu trovato il P. Priore, ch’era uscito fuori.
Stava per caso costì, l’Arciprete di Amaroni, che inutilmente volle iniziare
gli esorcismi. Poi venne il P. Priore assistito da più Padri e cominciò le preghiere
solite che durarono circa cinque ore e poi avvenne il miracolo.
[1] Abbiamo trascritto il documento per intero. Il
racconto sembra una serie di appunti in vista della formazione di un volume sui
fatti taumaturgici di San Bruno. L’autore è un certosino anonimo. È stato
scritto nel 1904, a dieci anni dagli avvenimenti narrati, accaduti nel giugno
1894. Nel racconto vengono riportate notizie narrate da Mariantonia e dalla
Madre, tramite il Superiore dei Redentoristi di Sant’Andrea Jonio, Padre
Carmine Cesarano, nonché del barbiere della Certosa. Il documento è utilissimo
anche per potere tracciare la cronologia degli avvenimenti. Il nome della
giovinetta nel racconto è Maria Antonia Samà, mentre nell’anagrafe è
Mariantonia Samà.
[2] Don Pio
Assandro fu rettore della Certosa di Serra San Bruno dal 1891 al 1894.
[3]
All’inizio del 1900 la popolazione di Sant’Andrea era circa 4.000.
[4]
Mariantonia, essendo nata il 2 marzo 1975, nel giugno del 1894 aveva 19 anni e
non 15.
[5]
Prossimamente nel racconto è riportata la testimonianza della madre di
Mariantonia che indica l’inizio della malattia della figlia a 11 anni. Per cui
la giovinetta era già ammalata da 8 anni, prima di essere condotta alla
Certosa.
[6] Il
racconto di Mariantonia è riportato dal Superiore dei redentoristi di Sant’Andrea,
che in quanto confessore di Mariantonia, l’aveva ascoltata sui fatti.
[7] Il “non”
è cassato.
[8] A 19
anni ci fu la guarigione (o “miglioramento”, poiché subito dopo si dice che il
Priore dopo 15 giorno trovò la fanciulla “quasi sana”). Questa durò due anni e
poi ci fu una nuova malattia, i cui sintomi, però, erano simili a quelli della
prima malattia. A 21 anni avvenne il nuovo allettamento definitivo.
[9] Il
12/07/1904 si può considerare la data del documento.
[10] Il
Cronista Padre Certosino inviò al Superiore dei Redentoristi una seconda
lettera, riportata in appendice di questo documento, datata 23/07/1904.
[11] La
testimonianza di Giuseppe segue la testimonianza del Padre Redentorista del 26
luglio, giorno di Sant’Anna.
[12] Le
scosse delle mani, delle braccia e di tutto il corpo indicano che la malattia
di Mariantonia si manifestava con delle convulsioni.
[13] La
guarigione sembra sia stata un miglioramento.
[14] Questo
riferimento a “altre malattie” è generico. I sintomi della malattia precedente
e della successiva sembrano identici.
[15] Questa
testimonianza del 12/07/1904, quando Mariantonia aveva 29 anni ( e non 25), è la prima testimonianza in assoluto delle
sue virtù eroiche nel vivere la conformazione alla volontà di Dio, calma e
serena, desiderosa di Gesù Eucaristia. La straordinarietà di queste virtù è
espressa anche nell’esclamazione: “È un
fatto meraviglioso”.
[16] Per
tutta la vita Mariantonia vivrà di elemosine.
[17] Santa
Maria è il luogo della Certosa, dove è il laghetto, san Bruno è morto e faceva
penitenze.
[18] La
casetta-tugurio è realmente di 12,6 m. q.
[19] In
questo brano sembra che l’ossessione si esprimesse con le scosse e le
convulsioni. È legittimo chiedersi se queste scosse e convulsioni non fossero
espressioni di malattie neurologiche.
[20]
L’impazienza e l’essere “furiosa” possono essere legate alla stanchezza e alla
difficoltà del viaggio.
[21] I
disturbi fisici neurologici in Mariantonia avvennero dopo che lei bevve in un
acquitrino.
[22] Queste
orrende bestemmie e gli “strapazzi” possono essere riferite sia a una possibile
ossessione e sia all’immaturità di fede della ragazzetta che non riusciva a
comprendere e dominare il suo malessere. C’è da dire che la bestemmia nel sud,
soprattutto nei tempi passati, era comunissima, anche tra i credenti, nei
momenti di agitazione.
[23]
L’allettamento di Mariantonia era precedente il viaggio a Serra San Bruno.
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