Un Crocefisso vivente
per 60 anni
MARIANTONIA SAMA
(1875-1953)
"La Monachella di
San Bruno"
di
Don Gerardo Mongiardo
Cenni biografici
La casa natale, dove è sempre vissuta (12 m.q) |
La
stella di Mariantonia Samà appare nel firmamento della Storia, alle ore 21,15
del 2 marzo 1875, nel Lembo di cielo di S. Andrea, cittadina su trono collinare che si affaccia sul nostro Jonio
mare, qual terrazza inondata di sole.
L'ingresso
di Mariantonia nel mondo è fortunoso.
I1 battesimo le è amministrato con urgenza, in casa, dalla
Levatrice Mariantonia Calabretta; l'Arciprete Don Peppino Calabretta, nella chiesa Matrice
dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, deve solo supplire delle cerimonie del sacro
rito.
Mariantonia
non è ancora nata e già è orfana.
II padre è tramontato
immaturamente nel suo 34° anno di età.
La madre, Marianna Vivino, bassina rubiconda, vestiva
abito
lungo e, scudo al seno, la "pettiera" bianca, tipica del costume
calabrese e quasi moda del primo novecento.
Sindaco
del tempo è Paolo Dominijanni.
L'Italia
è appena uscita dal travaglio
del parto dell'Unità Nazionale (1861) e tra
i primi atti di assestamento occupa e proclama Capitale dell'Italia
quella che era stata la Roma papale.
La
"Legge delle Guarentigie" (13.5.1871) non è ritenuta giusta e dignitosa dal Papa; e Pio IX, in protesta, si
chiude "prigioniero" in Vaticano.
Le tappe di vita della
giovane Italia sono disseminate di guerre, di morti e di lutti, dalla conquista
della Libia (1911) alla Seconda Guerra Mondiale (1939-44). Ciò va tenuto
presente per capire un'angolazione della vita di Mariantonia, crocifissa nel
suo letto ma nello stesso tempo inserita nel tessuto delle vicende umane.
Quello
che accoglie Mariantonia è il secolo XIX, il secolo dei "Lumi", in
cui sorgono e si rafforzano Sette pseudopolitiche
e pseudoreligiose che, nel sogno di totale eversione, affermano come programma
e traguardo la laicizzazione della società camuffata da paludamento
filantropico. Al Satanismo, che penetra nelle pieghe della nuova società, si
aggiungono i fasti dell'abissale liturgia delle "messe nere".
Pio IX (1846-1878) scorge 1'assalto di Satana nel
diffondersi di
una tessitura di errori che lo spingono al crivello dottrinale del
"Sillabo" (8.12.1864) (scambiato come condanna del liberalismo
patriottico), e nell'incameramento dei beni temporali della Chiesa da parte di
quasi tutti gli Stati Europei.
Leone
XIII (1878-1903), il Papa dei tempi in cui si affaccia Mariantonia Sama,
preoccupato dell'espandersi e degli effetti del Satanismo nel mondo, con una serie di encicliche, richiama ai Cattolici la potenza del Rosario e, con 1'Esorcismo
contro Satana, eleva ogni padre di famiglia ad esorcista del proprio
focolare.
La
fanciullezza di Mariantonia si snodava nella semplicita di vita cristiana, come
per le altre coetanee, alla scuola della madre. In quei tempi di civiltà
contadina, in cui il campicello era fonte di vita, la ragazzina di 12-13 anni
seguiva la madre in campagna. Nel ritorno da un appezzamento presso il fiume
"Salubro", dopo una tappa riposante in zona "Briga",
Mariantonia si manifestò come invasa dal demonio. Si ripetevano tutte le
stranezze degli indemoniati del Vangelo. La mite giovinetta divenne
bestemmiatrice e iconoclasta; da pura e
cristallina si fece scurrile nel linguaggio; da raccolta e pudica
esplose in esibizionismo nudista. Al suono delle campane che, dalla Matrice,
dominano il suo cubiculo, il demonio che ne aveva preso possesso, quasi sotto il
maglio del sacro, si perdeva in acrobazie straordinarie e in capitomboli che
sembravano mortali.
Per evitare l'increscioso spettacolo si ricorse a diverse
misure:
isolarla in casa, costringerla a vesti di garanzia. Tutto inutile. Si fece ricorso a mezzi spirituali e a fervorose
benedizioni: i sacerdoti di S.
Andrea, i Minori di Badolato, tutti dovettero arrendersi. C'era a quei
tempi, in agro di S. Andrea, la Baronessa Enrichetta Scoppa che, credente e fiduciosa in una soluzione con mezzi spirituali, pensò di mandarla per un esorcismo
ai Venerati Padri Certosini di Serra S. Bruno.
La ragazza, posta in lettiga, venne assicurata sul
fondale di un
carro tirato da buoi, e così la carovana
del dolore - Satana intruso e traguardo la speranza - partì.
A
dichiarazione degli accompagnatori, a noi pervenuta per orale tradizione, la giovinetta, a volte, acquistava il peso di quintali,
a volte si rendeva leggera come piuma.
Satana
avvertiva, lungo il viaggio, la presenza di Maria, presente nelle tante Icone
sparse nelle campagne, e, riottoso a proseguire, si perdeva in schiamazzi
indescrivibili.
In
un meraviglioso ambiente naturale, nell'area centrale di S. Maria del Bosco, a
Serra S. Bruno, c'è un "laghetto": nelle sue acque, quasi gelide, S.
Brunone di Colonia, Fondatore dei Certosini, di quando in quando vi si tuffava
per spegnere gli ardori della carne.
Come
Atto Primo della drammatica cerimonia, Mariantonia venne tuffata in quelle acque, santificate da quel grande asceta.
E fu nulla. Non si trattava di spegnere gli ardori di una passione, ma di
vincere e scacciare il demonio. A questo punto il Religioso Certosino,
designato a eseguire 1'esorcismo, intervenne. Un dialogo tra potenti: secco,
grave, breve. I1 religioso intimò allo
spirito maligno di uscire ed egli ubbidì. Ma protestò: «La lascio viva,
ma la lascio storpia». E uscì, lacerando la camicia e sbuffando come un'ondata
di fumo. Mariantonia corse ad abbracciare il simulacro di S. Bruno che, durante
1'esorcismo si faceva scuro e, con la comitiva che 1'avea accompagnato, tornò a
S. Andrea, prima dalla baronessa Scoppa per esprimere la propria gratitudine e
poi, in paese, in Pian Castello, a casa, all'imbocco di via Cassiodoro. La
giovinetta riprese la sua vita normale. Per una manifestazione di artrite alle
ginocchia, fece cure di sabbia infocata di sole, ma la cura le fu fatale. Si mise a letto con le ginocchia contratte a mo'
del Crocifisso, e cosi rimase per tutta la vita. Da qui inizia la passione, il calvario di Mariantonia; e da qui si
snoda la sua missione.
La
Casa: calvario e cattedra
Dal
Pian Castello, dopo il percorso di pochi metri, in un vicoletto largo circa un
metro, ci si imbatte in una porticina che immette in una stanzetta.
Appena entrati, a sinistra, una scala a pioli poggia la
parte superiore
su una spalla dell'abbaino, al livello del tavolato che costituisce il cielo
della stanza.
II
sottotetto, alla cuspide, è alto un metro ed è arieggiato da una finestrella di
cm. 50 x 60.
Nell'angolo,
in fondo, a destra, un letto dalle dimensioni ridottissime, costituito — come
si usava in sereni tempi di civiltà contadina — da un pagliericcio (il
"saccone"), gonfio di pannocchie di granturco, retto da due
cavalletti di ferro ("i travacchi"), sui quali delle tavole formavano
un piano. Nel pagliericcio, a ubicazione dovuta, un buco, come in una grande
ciambella, atto, con sottovaso permanente, a soddisfare i bisogni del corpo. Di
fronte al letto, a destra di chi entra, una finestrella di cm. 50x60. Sotto il
davanzale della stessa, è ricavato uno stipetto aperto, diviso da una scansia;
e sul davanzale, prospiciente sul vico stretto, sempre pronto a spegnere
momentaneamente la sete, "u bumbìli" (un artefatto di figulinaio paesano
-1'argagnaru -, in terracotta). Nell'angolo,
ai piedi del letto e accanto alla finestrella, un camino dal pianerottolo
ridottissimo dove, quando la Provvidenza non provvede dall'esterno, una
casseruola o una pentola, nella bollitura, gorgogliano di gioia, quasi
coscienti della destinataria del desinare in preparazione. Nell'angolo a destra
di chi entra, una seggiola intrecciata di saggina,
su cui fa mostra di sé una bacinella;
e, a terra, un grande recipiente di creta ("a limba") dove
versare l'acqua già usata.
Mobili:
un tavolinetto (a buffetta),
tre-quattro sedie: una, ai piedi del letto
per chi ricorre a Mariantonia nella tessitura di tutti i problemi che le vengono proposti; 1'altra,
nascosta, per chi 1'accudisce; le
rimanenti, sempre disponibili per visitatori in gruppo che non mancano
mai.
Nel
1909 Mariantonia perde anche la madre. Si affaccia acuta la soluzione per l'assistenza.
Eroine
di carita, in una vita-servizio per quel crocifisso
vivente, si avvicendano negli anni: Vittoruzza "da lattara",
allora famosa centenaria; poi, Maria Loiero; più tardi ancora, Marannuzza
"e Marcella"; e quasi
sempre presenti le sorelle "Colino": tutte dedite a servizio, in
semplicità e fervore, convinte di servire in Mariantonia
una santa, giannizzeri umili e contegnosi a custodia e sostegno
dell'oracolo-Mariantonia. La necessaria permanente presenza di un'altra persona
e la garanzia di reciproca riservatezza,
spinse a dividere la stanzetta in due scompartimenti.
Da tanto trono, angusto e glorioso, degno di stare
accanto alla
Grotta di Betlem, un corpo inabile e un'anima sempre vigile evangelizzano il
mondo che a lei accorre e ricorre. Cose d'altri tempi, ma eloquenti ancora! Intanto,
al lievito di Dio, Mariantonia cresce, come Gesù, in età, sapienza e grazia.E
la scoperta quotidiana della sua crescente sapienza richiama, lentamente ma
continuamente, anime e anime, bisognose o desiderose di grazie e di luce.
Sorgenti
di vita
Dinnanzi
a una giovane vita inchiodata su un letto, come su una croce, si è tentati di credere che la sua
esistenza fosse inerte anche spiritualmente e che le radici della vita
spirituale si inaridissero con lo scorrere del tempo. E, invece, no. Impotente
a operare in modo diverso, Mariantonia elevò a missione la sua sofferenza. Traspariva
dal suo comportamento l'esercizio dell'ascesi cristiana in tutti i gradi:
l'accettazione, il gusto, l'offerta della sofferenza a Dio.
I
sacerdoti che la frequentavano - Don Luigi Samà, di santa memoria, e Don Bruno
Cosentino, che 1'assisteva spiritualmente e, in qualche modo, anche
materialmente - assicuravano che lei aveva manifestato di soffrire e offrire
per riparare le offese al S. Cuore di Gesù,
per rendere fecondo 1'apostolato dei sacerdoti, per ottenere grazie a vicini e lontani
che, fiduciosi, ricorrevano alla sua mediazione presso Dio.
II tono mistico era dato alla casa-tugurio da un
Crocifisso, appeso
sulla parete a capo del letto, che troneggiava su tutto. Era il Maestro che in
quella casa teneva cattedra, con una discepola attenta e generosa. Era lo
specchio di Mariantonia. La sua spiritualità era nutrita dell'Eucaristia che
Don Bruno Cosentino le portava al suono del mattutino, ogni giorno, tranne
quando - raramente - non si sentiva disposta.
La sua intimità con Cristo, il sentire in sé Cristo,
il sentirsi una cosa sola con Lui Crocifisso, si rivelava nella fase del
ringraziamento dopo la Comunione. I1 suo rapimento mistico era tale che spesso
l'unione con Cristo - Luce da Luce - diffondeva luce nella cameretta che
veniva illuminata a giorno, mentre la lucerna e più tardi, la lampadina, era spenta.
Dormiva
sul pagliericcio, senza lasciar trasparire sul suo volto, quasi di lucida cera, la minima sofferenza, causata sia dagli acciacchi
fisici che dalla permanente posizione - per 60 anni! - delle ginocchia alzate,
che impedivano al suo corpo qualsiasi movimento.
«Non
è mai uscito dalla sua bocca un solo lamento, nota, con finezza, Dora Samà
Dominijanni. Forse erano momenti di dolore quelli in cui esclamava: «Mio Dio e mio Tutto»!
Uno scialletto, che dalla testa scendeva sulle spalle, mostrava, come fa una
fenestrella, il volto, da metà mento a metà fronte.
Il suo volto si
rattristava quando le persone visitatrici aggiungevano, in sua presenza, qualche critica durante la conversazione.
In
quei momenti, fissando il Crocifisso, profferiva queste parole: «Quanto soffre
quel buon Gesu!», espressione che altri ricordano come quel bel Gesù»
(«Chighru bellu Gesù»).
A pensarci, oggi, con
serenità e attenzione, la vita di Mariantonia riproduceva, in armonica
tensione, la vita di Gesù Crocifisso. Durante la Quaresima d'ogni anno,
infatti, Mariantonia, rivivendo l'avventura salvifica dei 40 giorni nel
deserto, viveva quasi in agonia e né parlava, né si nutriva. Nello stesso tempo liturgico, nel medesimo arco di
tempo, e in modo più appariscente, gli stessi fenomeni, come in
Mariantonia Samà, si verificavano in Suor Elena Aiello, la "Monaca
Santa" di Cosenza, e in Natuzza Evolo di Paravati di Mileto: un triangolo
sacro di "passione" e di salvezza. Solo dopo Pasqua - alla luce del
Cristo Risorto - le sue condizioni andavano migliorando e, dalla Comunità
andreolese, preoccupata per il fenomeno, si levava allora un coro di ringraziamento
al Signore, per averla lasciata ancora in vita.
La
comunità e Mariantonia
Il paese di sant'Andrea Ionio (Catanzaro) |
La
carità fraterna e solidale della popolazione andreolese, e di quanti
1'apprezzarono all'interno e all'estero, non le fece mai mancare il necessario.
Specie nei primi tempi del suo inchiodamento a letto, mandava a lei
sostentamento la Boronessa Enrichetta Scoppa che, fin dall'episodio
dell'esorcismo, la teneva sotto la sua protezione. Nella mentalità delle
famiglie di quella civiltà contadina era subentrata la convinzione che, ricordarsi
della Monachella di S. Bruno, era
gesto di nobiltà cristiana e civile; era come averla in un posto a tavola. Era
riservata a lei la prima focaccia (a
pitta) ancora calda, la prima pietanza del giorno festivo, armonizzata in
un giro di generosità; quasi il tributo di una decima a Dio che operava in
Lei. Ed anche olio, uova, frutta, qualche dolce. Tante brave persone, in
pellegrinaggio ininterrotto, andavano a trovare Mariantonia in una specie di
gara di solidarietà. Spesso erano dei bambini, guidati alle buone azioni, che
si accompagnavano ai grandi nel visitare la "monachella di S.
Bruno", o venivano mandati per essere educati alla carità. Si verificava
che, in certi periodi dell'anno, il gettito della carità fosse così abbondante
che la Monachella, da punto di
ricezione, si trasformasse in punto di irradiazione.
Era noto che Mariantonia - avendo nel sangue il paolino «la carità non cerca
i propri interessi» - desiderava che, di quello che a lei era donato, si trattenesse lo stretto necessario per sé e
per chi l'accudiva, e il resto si dispensasse ai poveri. Come nella scena de "I Promessi
Sposi" del Manzoni (Cap. III), Fra Galdino cantava che «la carità è come il
mare che riceve acqua da tutte le parti e
la torna a distribuire a tutti i fiumi», così il Sacerdote Don Bruno Cosentino,
che la curava spiritualmente, disponeva, nel modo più discreto, per la cerchia
dei poveri che - in quei tempi - apparivano.
Girava voce (erano i tempi tristi dagli anni 30 agli anni 40!) che lo stesso D. Bruno Cosentino, industrioso
amministratore del Seminario Regionale "S. Pio X" di
Catanzaro, destinasse qualcosa anche a quel Seminario. Per Mariantonia trionfava il vanto di Paolo: «poveri, ma facciamo ricchi molti; gente che non
ha nulla e invece possediamo tutto»
(2 Cor.6,10). Anima
nobile, formata alla scuola interiore di Cristo, sentiva il peso di chi riceve
e la gioia di poter ricambiare. I1 dono ricevuto ridiventava dono per altri: la si
rendeva felice quando si accettavano delle melagrane che lei offriva,
scusandosi di non disporre di altro da dare.
Sarebbe però riduttivo ritenere che le
visite avevano solo lo scopo di una presenza o di un dono materiale. Ad essa,
come a limpida sorgente di santità e di purezza, si andava per ricevere luce e
consolazioni spirituali. La Parrocchia di S.
Andrea Jonio, fino a poco oltre la Seconda Guerra Mondiale, era una
fortezza di santità e di preghiera, che aveva
dato alla Diocesi una schiera di sacerdoti e di vocazioni religiose, e
si reggeva su un triangolo operativo: Padri Liguorini, Suore Riparatrici,
Oratorio. Dalla parte del "Convento" dei Padri Liguorini, formato da
venerati apostoli delle Missioni Popolari, come P. Lucia e P. Conca, P. Grimaldi e P. Santonicola senior, anime
legate nell'apostolato della
Preghiera, a gruppi, frequentavano Mariantonia Samà per continuare le
conversazioni spirituali dei Santi Padri e "vedere" cosa diceva "a monachegghra". Dal
focolare delle Suore Riparatrici, ove era fiorente 1'Associazione de "Le
Figlie di Maria" e quella de "Le Madri Cristiane", suscitate
dall'estro entusiasta e devozionale di Madre Pia, coadiuvata, anch'essa, dal
Sac. D. Bruno Cosentino, c'era più che
un'esortazione, una voluta spinta a visitar la monachella per attingere purezza e amore di Dio. Dalla palestra dell'Oratorio di S. Maria in Arce,
ove da piccoli si era iniziati alla
fede, uomini, da soli o a gruppi, come si usava, si sentivano spinti ad
andare per "sentire" la monachella
di S. Bruno. Non di rado mamme,
d'intesa con la monaca santa, mandavano le figlie, col pretesto di un
dono qualunque, per avere in controdono una buona parola.
Parlare
con Mariantonia e di Mariantonia era discorso del giorno, era aspirazione e
privilegio. E si rimaneva - a riconoscimento
universale - letteralmente presi ed edificati quando esortava a fare la
volontà di Dio, base della nostra santificazione. Si usciva sereni e consolati
quando esortava ad accettare le sofferenze, perché chi parlava metteva il suggello
della sua vita quotidianamente vissuta. S'infocava quando, come ultima
"ratio", esortava a invocare lo Spirito Santo per la soluzione di
ogni problema. Chi scrive ricorda che, nel periodo estivo 1927-1938, quasi ogni giorno, dopo la funzione serotina alla Chiesa
Matrice, preti e seminaristi si dividevano a turno in due gruppi, la
visita alla monaca santa o la visita-passeggiata al Cimitero.
Mariantonia Samà era Maestra e luce per tutti: forse è questo il
perno e la motivazione più nascosta
ed elevata della sua missione e
della sua grandezza: faro di santità per un popolo che girava intorno a
lei come a centro di vita spirituale. Le
Suore Riparatrici del S. Cuore, di stanza nella Casa donata loro dalla Baronessa Scoppa (Suor Clarice con Suor
Benita, o Madre Pia con Suor Innocenza), a date fisse, ogni settimana,
con squisito senso di carità - quasi
servissero lo Sposo-Cristo - curavano 1'igiene intima di Mariantonia e
la pettinatura dei capelli.
Una storia di
sofferenza e di miseria, «vissuta nella carne, nella fede al Figlio di Dio»,
che fa vibrare la realtà delle Beatitudini (Gal
2,20).
Fu fonte di speranza per anime in pena o lancinate dal dubbio, specie in tempi
di guerra, circa la sorte dei soldati o il ritorno dai campi di guerra o di
prigionia. Andare da Mariantonia non era vezzo o curiosità; era sentire,
attraverso lei, il peso di Dio nelle vicende umane. Nelle famiglie andreolesi
divenne punto programmatico obbligato, dopo consulto familiare, passare da lei
per sentire cosa diceva o come la pensava la "monaca santa": per
1'avventura migratoria di fine secolo XIX e inizio del XX e dopo la seconda
guerra mondiale, per luce e consiglio su un affare da intraprendere o per la
valutazione di un avvenimento personale, familiare, comunitario. Chi andava da Mariantonia era convinto che la sua
era la voce di Dio. Intorno a lei si era formata una Comunità sacra in
cui il civico e il parrocchiale venivano a trovarsi fusi. Chi scrive
ricorda, come un puntino nel buio dei primi lustri di un secolo, il giorno in
cui la Mamma lo condusse dalla Monachella
di S. Bruno, per assicurarsi che l'entrata in seminario era veramente
chiamata di Dio. Seduta ai piedi del letto, tenendolo per mano, interpellò e
l'oracolo rispose. Uscendo fuori, la Mamma, gioiosa, esplodeva: «Gerardino, il Signore
ti vuole». E cosi Gerardino entrò in seminario. Mariantonia aveva un suo modo
particolare di colloquiare. Ascoltava, poi
seguiva una parentesi di silenzio. I suoi occhi si fissavano in alto o verso Gesù Crocifisso (come se
tutto vedesse in Dio!); poi comunicava (quasi un responso!).
Faceva
da monitor di Dio, da ricetrasmittente della verità delle/sulle cose,
trapiantate nel terreno della fede. Occhi in alto, come leggesse qualcosa,
stillava dalle labbra, con un fil di voce o con tono, a volte, timbrato, quasi
sempre con soave dolcezza, parole che consolavano, sorreggevano, come queste:
-
«Abbi fede! Abbi fede! Abbi fede!»
-
«Sta tranquillo/a: quel bel Gesù ha tante cose da dispensare».
-
«Dormi, dormi: non a tempo. Quanto attendi, arriverà»
Chiunque andava da Lei,
tornava rasserenato. Faceva proprio ogni dispiacere del prossimo. Era
sempre pronta a dare consigli: incoraggiava a sperare, ad avere molta fede nei
momenti di sconforto e - soprattutto - a fare la volontà di Dio. Questo tocco è
dell'insegnante Dora Samà Dominijanni che la frequentò fin da giovinetta. Non solo gli avvenimenti personali ma
anche quelli comunitari erano tutti
filtrati dalla sua anima: pace o guerra o calamità naturali.
Durante
la Seconda Guerra Mondiale (come già in quella di Abissinia o di Spagna) era
quasi un pellegrinaggio alla monachella
per avere notizie sui propri cari sparsi su tutti i fronti. Parlando, mostrava
di seguire i giovani soldati giorno dopo giorno, perché a volte cambiava notizia
da un giorno all'altro per avvenimenti nel frattempo verificatisi. I1 panico che ne venne, dopo un annunzio di morte,
fu tale da spingere Don Bruno Cosentino a esortarla a maggior cautela
nel predire o preannunziare avvenimenti e morti. Quando, nel 1943, passavano dal Litorale Jonico i Tedeschi in
ritirata verso il Nord e una Flotta Alleata sbarcava tra Locri e Crotone, i
fascisti s'imboscavano per timore di rappresaglia: tanti si rifugiavano nelle
campagne. La "Monachella di S. Bruno" rassicurava tutti a rimanere in
paese perché nulla di violento sarebbe successo. E cosi avvenne. I Tedeschi si
dileguarono senza lasciare dietro di sé, come altrove, distruzione e morte, e
gli Anglo-Americani, liberatori e osannati, si sedettero, quasi appollaiati,
sulla gradinata di "malaìra",
accanto alla sede municipale di allora. Gli Alleati fraternizzarono con gli
andreolesi: per il loro comportamento, pacifico e liberante, furono osannati e
rifocillati. Nel terremoto del 1947, mentre tanti si rifugiavano nelle casette
rurali ("i casiegghni") sparse nell'agro
andreolese, Mariantonia esortava a tornare tranquilli a casa perche il Signore,
il suo bellu Gesu aveva usato
misericordia.
Nel
1951, una tremenda alluvione aveva dissestato le campagne e la grave avversità
aveva talmente inzuppato uomini e cose che molti si trovarono affetti da
pericolose bronchiti. Chi ebbe cara la vita e viva la fede, fece a Lei ricorso
e guarì per incanto. Mariantonia, come Mose
sul monte per il popolo eletto, fu un parafulmine per tutta la Comunità
andreolese. La sua presenza allora e il suo ricordo oggi son sicuro riferimento
di orientamento spirituale e storico.
E' morta
la Santarella!
Una apoteosi corale |
La
monachella veggente, cui il Signore -
a suo dire - parlava coi sogni è prossima a raggiungere il suo "bello Gesù"'.
Sarebbe interessante un raffronto tra agonia
e morte di Gesù e quella di Mariantonia. Dalle testimonianze, queste le
fasi e la sintesi. L'ultima settimana della
sua vita, ha sofferto molto di un forte calore in tutto il corpo. II 27
maggio 1953, nelle prime ore del mattino, oppressa da un malessere insolito e
grave, «mi sento male - disse - oggi muoio». Chiese un po' d'acqua, ma non volle
bere. Qualche ora d'angoscia, durante la quale rispondeva ai circostanti con
voce sommessa e chiara! Dopo circa dieci minuti di silenzio, ha emesso alcuni forti respiri, ansimante, come chi si sente
oppresso il petto. Nell'ultimo di questi respiri, spirò. II tempo scandiva i
rintocchi delle prime ore del 27 maggio 1953. Mariantonia ha raggiunto il suo bel Gesù. I1 viso rimane candido e le
carni morbide. Come a Padova, alla dipartita di S. Antonio, echeggiò di bocca in bocca «E morto il Santo! E morto il Santo, così alla morte di Mariantonia, volò di labbro in labbro: morta la santarella! morta la
santarella! (U signuri sa pigghiau 'a santarera!).
Come
le donne del Vangelo presero il corpo di Gesù e lo avvolsero in bende, e Giuseppe prese il corpo di Gesù e lo avvolse in
un lenzuolo, così le Suore Riparatrici del S. Cuore fecero per Mariantonia. Esse
che, programmaticamente, la visitavano come facesse parte della loro Comunità
(tanto che molti, specie all'estero, la chiamavano «Suor Mariantonia Sama»),
andarono a purificarla per 1'ultima volta e
a vestirla come una della loro associazione delle "Figlie di
Maria": abito bianco, fascia celeste, nastro con medaglia di Maria
pendente sul petto. Più volte s'è provato
a stendere le sue membra contratte ma esse, bloccate dalla staticità di
circa 60 anni, tornavano nella posizione di prima. E così furono lasciate. Mariantonia, sull'umile lettuccio di sempre,
sembra un crocifisso vestito di bianco. Calvario e altare fu per lei il suo letto; sacerdotessa e vittima,
lei stessa. Nel pomeriggio del 27 maggio si svolsero le esequie.
Due
voci ne tessero le lodi: una sacra, dell'Arciprete del tempo, che inneggiò
alla santità sbocciata sul ceppo della Croce; 1'altra, laica ma cristiana, del
neo-Sindaco del tempo, il farmacista Don
Andrea Samà, che s'integrò alla prima nell'esaltazione del sacrificio
lungo, paziente, santificante di chi era tornata alla Casa del Padre.
Una
fiumana di gente accompagnò la salma al Cimitero Comunale di S. Andrea, dove fu collocata nella Cappella delle Suore.
I prodigi non erano finiti. La bara era stata lasciata aperta: a chi andava per
porgerle 1'estremo saluto - quasi a
rispondere al cortese pensiero - apriva gli occhi. Si sparse la voce. La
gente, per curiosità o per devozione, a
frotte tornò al cimitero: era vero, ogni tanto apriva gli occhi.
Segno
arcano o illusione di veder muovere gli occhi sotto le palpebre non
completamente chiuse? I1 popolo che crede non va per il sottile: si scatenò la
febbre del "ricordo della Santa".
La
gente tagliuzzò capelli e indumenti: furono reliquie sparse dovunque come semi
di benedizione nei solchi della Comunità andreolese. Un brivido di profonda
emozione percorse in ogni angolo la Comunità. Racconta Maria Caterina Arena: «Dopo la morte di Mariantonia, andai al cimitero. Nel
baciarla notai che la pelle era cosi
morbida che sembrava essere ancora in vita. C'era vicino Ciccillo Cento
(il pasticciere galante, l'amico signorile
e affettuoso) che, dopo averla baciata, usciva in queste parole: «Beato
chi muore dopo di te!» II beato era lui. Tornato a Casa, Ciccillo s'accasciava
per associarsi alla beata sofferente». La tumulazione avvenne la mattina del 29
maggio 1953. Furono presenti due persone: un
sacerdote e i1 medico sanitario. Nella parte sinistra del collo
osservarono una macchia bruna e un rigonfiamento che denunciavano 1'effetto
dell'arresto circolatorio. Nella Cappella Cimiteriale delle Suore Riparatrici
un'epigrafe la ricorda come chi «visse e morì per amore». Come nel Libro della Sapienza (3,1-9) «Dio 1'ha
provata e 1'ha trovata degna di sé;
1'ha saggiata come oro net crogiolo e 1'ha gradita come un olocausto… Nel
giorno del giudizio risplenderà ... perché grazia e misericordia sono
riservate ai suoi eletti».
Quello
degli occhi che si muovevano non fu il solo segno. La stanzetta in cui visse e
morì fu vista illuminarsi a giorno anche dopo la morte. Spesso Mariantonia
premia i suoi visitatori facendo sentire, soffuso nell'aria della sua
"casa", un profumo fisicamente fine e spiritualmente distensivo e
consolante. La convinzione che Mariantonia sia una santa rimane nella mente e
nel cuore di chi la conobbe, di chi ne sentì parlare, di chi poté godere della
sua intercessione. Tutti son concordi nell'affermare che è vissuta da santa e
tale meriterebbe essere dichiarata ufficialmente; tutti ribadiscono un
argomento: basterebbe soltanto notare che per 60 anni è stata martire in quel
letto senza mai emettere un lamento e senza fare piaghe di decubito.
Dopo
il ritorno di Mariantonia al suo "bel Gesù", il Maestro Rosario
Mongiardo, ammiratore e profondo credente, stampò e diffuse in Italia e
all'estero una pagellina con nel frontespizio l'unica
immagine di Mariantonia, scattata a sorpresa e quasi a tradimento della
sua disposizione. A questa pagellina si
annodano tutte le grazie che a Lei si attribuiscono. Lo sforzo della presente ricostruzione biografica
mira al medesimo traguardo:
presentarla come modello di vita sulla cattedra del dolore e accendere
la scintilla del traguardo della glorificazione.
Nessun commento:
Posta un commento