La beatificazione di Mariantonia e Nuccia Tolomeo - Basilica dell'Immacolata di Catanzaro, 3.10.2021

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sabato 18 maggio 2013

7. SI CONFORMO' A CRISTO CROCIFISSO PER IL BENE DELLE ANIME

"Sul letto del dolore si conformò a Cristo crocifisso per il  bene delle anime"[1]

di Don Vincenzo Manzione

L'Arcivescovo di Catanzaro-Squillace, Mons. Antonio Ciliberti, durante la visita pastorale a S. Andrea Ionio (Cz), ha ufficialmente aperto l'inchiesta diocesana per la canonizza­zione di Mariantonia Samà, detta comunemente la "mona­chella di S. Bruno".
Il 6 gennaio 2007, l'Arcivescovo aveva nominato postulatore della causa, don Vincenzo Manzione del Clero della Diocesi di Teggiano-Policastro. Il 9 febbraio, Mons. Ciliberti aveva provveduto alla costituzione del Tribunale, nominando il canonico Edoardo Varano, Giudice delegato; don Vincenzo Zoccali, promotore di Giustizia; Rita Domimijanni, notaio titolare e Daniela Martin, notaio sostituto. Della Commissione storica fanno parte: don Leonardo Calabretta e don Gregorio Montillo.
Mariantonia Samà, detta anche la monachella di San Bruno, nacque a S. Andrea Ionio, provincia di Catanzaro, il  2 marzo 1875, da una famiglia molto povera.
Il padre, Bruno, morì prima che lei nascesse. Fu, quindi, la madre, Marianna Vivino, a doversi interessare della crescita e del mantenimento della piccola Mariantonia.
All'età di 13-15 anni circa, la ragazza fu colpita da una grave forma di artrite deformante ed osteoporosi che la inchiodò per tutta la vita a letto, immobile, in posizione supi­na, con le ginocchia alzate e contratte per oltre 60 anni.
Abitava con la madre in un'umile, angusta e buia casetta, rassomigliante piuttosto ad un tugurio, in un vicolo strettissi­mo del paese, dove il  sole non faceva mai capolino.
Il buio, il  freddo, l'estrema povertà dell'ambiente, insieme alle precarie condizioni economiche della famiglia, resero più  atroce la sofferenza fisica di Mariantonia e quella morale della madre; ma entrambi ebbero la forza e il  coraggio della fede e della speranza nell'aiuto della divina Provvidenza.
Mariantonia abbracciò con grande serenità dell'anima, direi con vera gioia del cuore, la sua penosa malattia, confor­tata soltanto dal suo ardente amore al Crocifisso che vedeva, contemplava ed adorava appeso alla parete di fronte al suo misero giaciglio.
Col lento trascorrere delle ore, dei giorni e degli anni, rea­lizzò una piena assimilazione a Lui, divenendo cosi copia perfetta di Gesù Crocifisso.
Su quel letto di dolore, sul quale fu inchiodata come su di una croce per tutta la vita, diventato altare, calvario e catte­dra, Mariantonia poté essere sacerdotessa, vittima e maestra di vita e di virtù eroicamente vissute e, perciò, esempio e sprone per tutti alla santità. Fu cosi perfetta la sua conformazione al Crocefisso Signore da poter dire di con l'Apostolo Paolo: "Questa vita che vivo nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio... Sono stata crocifissa con Cristo, non sono più  io che vivo, ma è Cristo, che vive in me" (Gal. 2, 20 ss.).
La sua vita nascosta in Cristo crocifisso si nutrì costantemente dell'Eucaristia, che riceveva quotidianamente e che, durante le lunghe ore di ringraziamento, adorava in unione mistica di amore sponsale.
Mariantonia, pur essendo sprovvista di cultura umana, custodiva accuratamente nella sua anima illibata i doni infusi dallo Spirito Santo: Intelletto, Scienza e Sapienza, che le resero facile e agevole il  volo verso le più  alte manifesta­zioni dello Spirito, divenendo vera "luce sul monte" per illu­minare, elevare ed orientare alla santificazione i numerosissi­mi fedeli che andavano a farle visita per ascoltarla, ammirar­la, chiederle consigli ed aiuti spirituali.
Era tanto vera e sincera la fede di quella gente e cosi spon­tanea la loro venerazione per la Serva di Dio che, ancora oggi, dopo 54 anni dalla morte, possiamo vantare il  possesso di una vasta documentazione di testimonianze, di segni straordinari, di illuminazioni e di grazie ricevute, che un'apposita com­missione storica, già nominata, dovrà accuratamente esami­nare.
La signora Dora Samà, che da ragazza ebbe frequenti con­tatti con la Serva di Dio, nel suo recente libro biografico: "Una vita nascosta in Cristo", scrive: "Non è mai uscito dalla sua bocca un solo lamento; forse erano momenti di dolore quelli in cui esclamava: "Dio mio e mio Tutto".
Quando le persone che andavano a farle visita, in sua presenza, aggiungevano qualche critica durante la conversazione, in quei momenti, fissando il Crocifisso, con voce addolorata ripeteva: "Quanto soffre quel buon Gesù"!
Mariantonia Samà morì, come Gesù sulla croce, in odore di santità, il  27 maggio 1953.
I funerali furono una corale partecipazione di popolo osan­nante alla sua santità e al suo martirio incruento per amore.
Sulla sua tomba fu posta l'epigrafe che è un vero testa­mento spirituale di una vita crocifissa per amore: "Visse per amore, soffrì per amore ed ora dal Cielo a tutti addita la via dell'Amore". Ancora oggi, a distanza di più  di mezzo secolo, il  profumo della sua santità e delle sue virtù eroiche continua a diffon­dersi dentro e fuori del suo paese.
I pellegrini continuano ad accorrere a frotte da tutte le parti a S. Andrea Ionio per visitare e pregare sulla sua tomba, ora trasferita nella Chiesa parrocchiale Santi Pietro e Paolo, per poi recarsi nella vicina casetta a deporre un fiore sul povero letto dove si consumò il  suo calvario di dolorosa crocifissio­ne e per impetrare dalla sua intercessione aiuti e favori cele­sti, per sfogare le proprie pene interiori e chiedere sollievo e conforto per le sofferenze del corpo.
E' veramente commovente ed edificante poter leggere quelle testimonianze di fede, di speranza e di amore che i visitatori scrivono nei registri appositamente collocati in un angolino di quel povero tugurio.
Oltre ad invocare grazie personali, tutti manifestano ferma volontà di conversione e di imitazione della vita e delle virtù della Serva di Dio. In special modo, della sua fede operosa e viva; della sua speranza invincibile; della sua carità senza misura; della sua povertà, umiltà, e purezza di cuore; della sua serenità, pazienza e gioia nel portare la propria croce; della sua generosa disponibilità verso gli altri; della sua illi­mitata fiducia nella divina Provvidenza; del suo totale abban­dono alla Volontà di Dio.
Di tali sublimi esempi abbiamo tutti bisogno, specialmen­te i giovani, per colmare quel vuoto interiore che una cultura negatrice dei valori soprannaturali, sta diffondendo nella nostra società.
Per il  suo stile di vita condotto nella sofferenza, che ne fece una martire di forzata immobilità, la Serva di Dio Mariantonia Samà resta un perenne e luminoso esempio di accettazione incondizionata del dolore ed un sicuro, sublime richiamo per noi a purificarci ed elevarci per mezzo di esso.                              
Roma, 27 aprile 2007
"Ha preso la croce, ha imitato Cristo, suo sposo, ora vive con Lui, splendente come il  sole nell'assemblea dei Santi"    (dalla liturgia).


[1] Osservatore Romano del 27 aprile 2007 n. 95, pagina 4

6. PROFILO SPIRITUALE E APPROFONDIMENTI



di Don Edoardo Varano

 1. Profilo spirituale

1.  Ho conosciuto di persona da concittadino e da sacerdote Mariantonia Samà. Era una persona semplice, umile, priva di cultura, nell'impossibilità di leggere e scrivere.  A ciò si aggiunga ch'essa nessuna attività esterna poté svolgere fuori dal suo poverissimo tugurio di appena 12,68 metri quadri, dove per 60 anni rimase a letto senza fare mai piaghe di decubito.
E, perche santa ritenuta, i fedeli accorrevano numerosi al suo capezzale per avere notizie sui congiunti in zona di guerra o per ricevere consigli in particolari loro bisogni. Le sue risposte brevi e precise, dette a voce flebile, trovavano sempre puntuale riscontro nella realtà.

2. Straordinaria fu la sua vita spirituale, alimentata, come a viva sorgente, dalla preghiera personale e silenziosa che si trasformava in contemplazione. Non mancava mai la recita del S. Rosario tre volte al giorno assieme a fedeli presenti. Ma il momento più importante della giornata era senza dubbio quello della S. Comunione, che un anziano e santo sacerdote tutte le mattine di buona ora le portava.
Chi per caso era presente notava un singolare mutamento del suo volto tanto da sembrare morta. In realtà, appariva all'esterno quell'invisibile, intima unione col "dolce Gesù" come solitamente ripeteva. A questa unione, però, era pervenuta attraverso l'acuta sofferenza, che giorno e notte affliggeva il suo gracile corpo senza mai darle tregua.
Stare immobile a letto per 60 anni, senza potersi rivoltare d'un centimetro, tenendo in alto le ginocchia e ferme le braccia sul petto, ha dell'impossibile. Eppure, nessun lamento, nessun rifiuto, nessuna parola di stanchezza.
La forza e la gioia di soffrire l'attingeva da Gesù Crocifisso appeso sulla parete di fronte, su cui erano costantemente fissi i suoi occhi.
La gente aveva ben capito che in quella fragile carne dimorava il "Divino" e per questo accorrevano a lei anche sacerdoti, religiosi e finanche vescovi.

3. Abbiamo una luminosa conferma della diffusa fama di santità della Serva di Dio, anche in vita, considerando l'imponente partecipazione popolare in occasione delle sue esequie svolte, a cassa scoperta, prima per le vie del paese a mo' di processione sacra, poi in chiesa e infine in corteo fino al cimitero.
A riguardo, non posso fare a meno di trascrivere lo scritto, il solo che possediamo sulla Serva di Dio e sconosciuto purtroppo fino ad oggi, lasciatoci dal Parroco del tempo Arciprete Don Andrea Samà. Si trova, cosa insolita, a margine dell'atto di morte di Mariantonia Samà, e ritenendo sia la testimonianza più qualificata, la riporto ad litteram come giace nel libro. Eccola:

     "N° 26 — Samà Mariantonia  (morta il 27 maggio 1953)
Morta in concetto di santità, non appena spirata, l'oscuro tugurio in Via Cassiodoro, che l'aveva vista nascere, crescere ed invasa dal demonio a 15 anni circa, è diventato luogo sacro di un affollarsi soffocante di popolo che faceva forte pressa di penetrarvi per vedere le spoglie angeliche della Santina di S. Bruno. Era così chiamata perché, invasa dal demonio, a cura della Baronessa Scoppa e del Barone De Iorio, nipote, era stata condotta a Serra S. Bruno e sul lago omonimo liberata dal demone. D'allora in poi, rimase sempre a letto nella posizione supina fino alla morte, senza aver una sola piaga di decubito.
Spirava alle ore 10 (dieci); è stata trasportata al cimitero alle ore 16,30 a cassa scoperta; per unanime volere del popolo è stata posta nella Chiesa delle Ven. Suore Riparatrici meta di continuo pellegrinaggio fino alle ore undici del giorno 29.
Gente di qualsiasi classe e credenza si prostrava, le baciava la mano, offriva un fiore ed altro ritirava, finché l'Arciprete (cioè lo scrivente Don Andrea Samà) è stato costretto a levarle la fascia di figlia di Maria e il velo nero perché fossero divisi come ricordo.
Molti asseriscono di averla vista aprire e chiudere gli occhi. Immediatamente prima della saldatura della cassa di zinco, in cui è stata rinchiusa, la gente asciugava il sudore che bagnava leggermente il corpo, ed io, Arciprete Andrea Samà, ho dovuto constatare che il velo da me tirato per essere diviso alla gente, era realmente addirittura inzuppato, come ho fatto constatare a certo Cosentino Gerardo che lo tagliuzzava con le forbici.
Fino al momento della saldatura, alle ore 11 del 29-5-1953, non si sentiva cattivo odore".
 
2. Alcune precisazioni

  1. Riguardo alla natura della malattia che colpì Mariantonia Samà, si ritiene difficile fare una diagnosi precisa, sia perché trattasi di una persona vissuta da più di un secolo sia perché mancano documenti e riferimenti clinici del passato. Nonostante questa situazione anomala, il Dott. Giuseppe Stillo, dopo lunghe, approfondite ricerche e riflessioni ha rilasciato una diagnosi-ipotesi che viene allegata a parte. La mancanza di riferimenti clinici del passato non stupisce se si tiene presente che la Serva di Dio ha sempre ostinatamente rifiutato visite mediche sul suo corpo, tanto forte era in lei il sentimento profondo di pudicizia. Si spiega così il fatto che solo le Suore Riparatrici del luogo potevano effettuare la sua pulizia personale o ravviare i capelli. Lo conferma anche il Sac. Don Tito Voci nativo di S. Andrea che nel suo libro "Indagine storica di S. Andrea ", in un capitolo dedicato alla "Monachella di San Bruno" a pag. 191 scrive tra l'altro: "In opposizione allo stato di ossessa, si sviluppò in lei l 'amore alla purezza che custodì sempre, un orrore istintivo al peccato e al demonio –quella brutta bestia – come diceva ".

2. Riguardo all'esorcismo, non v'è dubbio che è stato effettuato a causa delle strane e irriverenti manifestazioni da tutti ritenute diaboliche. Non si spiega altrimenti la rischiosa iniziativa della Baronessa Scoppa del luogo, donna colta, intelligente e religiosa, di organizzare, certamente con l'assenso dei Sacerdoti, il trasporto della ragazza in una specie di cassa, facendo affrontare un viaggio di 8 ore a piedi attraverso la nostra montagna, servita solo di viottolo mulattiero. Conosciamo, infatti, nomi e cognomi dei 4 portatori, tutti di S. Andrea, come si ricava dalla fotocopia del documento manoscritto, conServato in originale nella biblioteca della Certosa di Serra San Bruno. E' anche certo che la ragazza, ritornata in paese dopo il felice esito dell'esorcismo, condusse subito vita normale dedicandosi ai comuni lavori (attingere acqua alla fonte, trasportare legna, raccogliere olive). Dopo circa 2 o 3 anni, cominciò ad avvertire forti dolori alle gambe e ginocchia ritenuti allora forme artritiche, per cui furono consigliati, come allora era uso fare, bagni di sole e sabbiature sul litorale del nostro vicinissimo mare Jonio. Queste cure, purtroppo, non sortirono l'effetto sperato, anzi aggravarono tanto la situazione da costringere la ragazza a trovare sollievo a letto, mantenendo le gambe contratte. Questa posizione immobile l'accompagnò per 60 anni fino alla morte e - cosa straordinaria - senza fare mai piaghe da decubito. Non sappiamo se la scienza medica possa dirci qualcosa in merito! Resta però il fatto che la Serva di Dio, inchiodata a letto, accettò il suo martirio e calvario senza mai lamentarsi, felice di soffrire con Cristo Crocifisso, "il suo bel Gesù", come soleva ripetere. Nell'amore sofferente si purificò fino a raggiungere l'unione più intima e perfetta con Cristo nello stato mistico. In questo lungo atto di amore sofferente consiste essenzialmente la sua santità. Fatti e circostanze che l'accompagnarono, spariscono davanti al mistero di Dio, che da ciò che è piccolo e ignobile sa trarre cose grandi incomprensibili a livello umano.

3. Prima di parlare dell'assistenza delle donne alla Serva di Dio, si deve accennare al luogo dove essa veniva prestata. Questo non può chiamarsi né casa né casetta ma solo tugurio. Posto a piano terra è racchiuso in 12 mq più un sottotetto raggiungibile con scala a pioli. In questo poverissimo tugurio, con pochissima luce esterna, nacque, visse e morì la Serva di Dio. Dopo la morte della madre che l'assisteva, si rese necessario dividerlo per creare un piccolo ambiente per far riposare di notte le buone donne e collocare un focolarino per cucinare o riscaldare le vivande, che i buoni e generosi fedeli del paese senza tregua portavano alla "Monachella di San Bruno". Le donne, che si sono succedute una dopo l'altra nell'assistenza, erano tutte anziane e di provata fede religiosa. Prestavano il servizio di carità gratuitamente fino a quando le loro forze fisiche lo consentivano, convinte che ciò facevano verso una persona ritenuta da tutti una santa. I loro nomi sono riportati, in gergo dialettale, nella biografia scritta da Dora Samà ("Una vita nascosta in Cristo" - pag. 32); e in quella scritta dal Sac. Gerardo Mongiardo ("Mariantonia Samà, 60 anni di amore crocifisso " - pag. 43).

4. La Serva di Dio ha trascorso la sua vita nel più assoluto nascondimento e silenzio senza beneficiare mai di pubblicità o provocare rumore esterno. Per lei nessuno ha fatto propaganda e anche nello stesso ambiente ecclesiastico diocesano, fu completamente ignorata.
Al contrario la sua fama di santità è stata costantemente riconosciuta dal popolo e dai sacerdoti di S. Andrea a lei devotamente vicini. Diversi testi de visu concordemente e in coscienza affermano che la Serva di Dio è veramente una santa.
Questo il comune sentire e la convinzione del popolo di S. Andrea, per cui anche qui vale ripetere: vox populi, vox Dei.
Sulla fama di santità della Serva di Dio, non vi è alcun dubbio.
E' sufficiente ricordare e rimarcare alcune note:
A.           Nel Registro Parrocchiale dei morti al n° 26, il Parroco del tempo Sac. Andrea Samà che conosceva bene la "Monachella di San Bruno" perché la frequentava, a margine dell'atto di morte (cosa insolita) inizia così la sua testimonianza:
"Samà Mariantonia morta in concetto di santità" ...
Questa è la testimonianza più qualificata e convincente che conserviamo, fatta dal Parroco del tempo, portavoce di tutta la comunità parrocchiale. Essa è molto importante perché di indiscusso valore probatorio circa la fama di santità della Serva di Dio.
B.            In occasione della traslazione dei resti mortali della Serva di Dio dal cimitero al paese (3 Agosto 2003) avvenuta con la partecipazione imponente dei fedeli (c'ero anch'io), il Vescovo S.E. Mons. Antonio Cantisani celebrò la S. Messa nella piazza affollata, con l'urna deposta ai piedi dell'altare. Questa, dopo la cerimonia, fu portata alla vicina Chiesa Parrocchiale per essere in essa tumulata. Non si può pensare che un Vescovo abbia permesso, a cuor leggero, la reposizione in Chiesa dei resti mortali della Serva di Dio se non fosse stato profondamente convinto della sua santità.
C.            Scrivere due biografie sulla "Monachella di San Bruno" da parte di un Sacerdote e di una laica senza avere prove sufficienti sulla fama di santità, sarebbe stato aberrante impostura e mancanza di rispetto verso i lettori.
D.           I continui devoti visitatori alla tomba e al vicino tugurio della "Monachella di San Bruno", ora decorosamente ristrutturato, confermano la sua fama di santità.

CONCLUSIONE

Il misero tugurio fu il suo deserto spirituale per 60 anni, vissuto nell'estrema povertà, nel nascondimento, nel silenzio e nell'umiltà, alimentati da una interminabile sofferenza amata con Cristo Crocifisso. Questa la particolare nota della sua santità. Da quel letto la Serva di Dio lancia oggi un messaggio liberatorio a questa nostra società assetata di potere, denaro ed edonismo. Per la Calabria, in particolare, è  un forte richiamo ai valori umani e cristiani tanto necessari per la sua attesa rinascita.
 
3. Perchè il ritardo della Causa di beatificazione?

Il motivo principale per cui, dopo la morte della Serva di Dio Mariantonia Samà avvenuta 27/05/1953, il Processo è iniziato dopo 54 anni, è perché nessuno si è interessato. Come spiegare? Anzitutto c'era una subcultura in Calabria che riteneva difficile in quei tempi (oggi tutto è cambiato) ottenere il riconoscimento ufficiale della Chiesa sulla santità di una persona. Pur sapendo tutti che la Serva di Dio fosse una santa, nessuno, purtroppo, prese l'iniziativa di introdurre la causa di beatificazione. I diversi vescovi che si sono succeduti nelle due diocesi di Catanzaro e Squillace, non hanno prestato, dati i loro impegni, spiccata attenzione alla nostra Serva di Dio, umile e nascosta, vissuta immobile a letto per 60 anni in un poverissimo ed angusto tugurio. Neppure i parroci e sacerdoti del luogo, pur consapevoli della santità della nostra Mariantonia, hanno mai vagheggiato l'idea di un possibile processo di beatificazione. A sollevarne il problema sono stato io e alcuni ferventi laici che abbiamo trovato entusiastica accoglienza nel vescovo Mons. Antonio Cantisani che, tra l'altro, in data 3 Agosto 2003, compì la reposizione dei resti mortali della Serva di Dio nella Chiesa Parrocchiale dei SS. Apostoli Pietro e Paolo in Sant'Andrea Jonio. Mi auguro presto la felice conclusione del Processo in corso per la Beatificazione della nostra Serva di Dio, uno dei tanti gioielli di questa tormentata Calabria, capace anche di esprimere intelligenza e santità.

5. LA FAMA DI SANTITA' di Mariantonia Samà



di Mons. Antonio Cantisani - Arcivescovo emerito 

II Signore ha arricchito il mio episcopato di tanti doni: tra i più preziosi c'è senz'altro la testimonianza evangelica di presbiteri, religiosi e laici che Egli ha suscitato in questa Chiesa di Catanzaro-Squillace. Risplende di particolare luce la figura di Mariantonia Samà, detta "La monachella di S. Bruno".
Sono stato nominato arcivescovo di Catanzaro-Squillace il 31 luglio 1980. Appena ho dato inizio al mio servizio pastorale nel settembre di quell'anno, ho sentito parlare del "caso straordinario" di Mariantonia Samà. Ma è stato nell'ottobre, quando non era passato un mese dal mio ingresso in diocesi, che, recandomi a S. Andrea Ionio, il paese ove la Monachella era vissuta tutta la vita, ho potuto – come suol dirsi – "toccare con mano" che la sua memoria era quanto mai viva presso tutto il popolo. Davvero tutti – presbiteri, religiosi, religiose e laici – facevano a gara a parlarmi della santità di Mariantonia. Dicevano proprio così: "A S. Andrea abbiamo una santa!".
Certo, tutti erano convinti di un particolare intervento del Signore nella vita di Mariantonia, quando, ancora giovanissima, a Serra S. Bruno era stata liberata dalla possessione dello spirito diabolico. Ma dimostravano di considerare più "miracoloso" il fatto che, paralizzata quasi per una vendetta del demonio, per circa sessant'anni è rimasta a letto, sempre nella stessa posizione e senza fare mai una piaga. Sollecitato dalla gente, ho sentito anch'io il bisogno di visitare il tugurio dove la monachella ha abitato per tanti anni e ne sono rimasto profondamente impressionato.
Ma, per la gente, la santità di Mariantonia consisteva soprattutto nel fatto che, pur in quelle condizioni, ha riversato un'immensità di bene su quanti si recavano a farle visita: infondeva coraggio nelle difficoltà, esortava ad avere fiducia nell'ora della prova, dava saggi consigli anche nella scelta del proprio stato di vita, indicava nell'uniformità alla volontà di Dio il segreto della pace interiore.
Era, comunque – sempre a giudizio di quanti mi hanno avvicinato durante le mie visite a S. Andrea – la testimonianza di Mariantonia che colpiva e, secondo alcuni, affascinava: totalmente abbandonata nelle mani di Dio, con lo sguardo costantemente sul Crocifisso, innamorata del Cuore di Gesù e filialmente devota alla Madonna.
Tanti, specialmente i sacerdoti, la vedevano spesso e a lungo immersa nella contemplazione e non erano lontani dal vero se parlavano del dono dell'estasi di cui il Signore aveva arricchito quella creatura, che, tra l'altro, si cibava ogni giorno del pane eucaristico.
Man mano che son passati gli anni e son ritornato per il mio servizio pastorale a S. Andrea, mi sono reso conto che il popolo crede con la convinzione di sempre nella santità di Mariantonia. Continuano a rivolgersi a lei per ottenere protezione e grazie di ogni genere. Tanti parlano di grazie effettivamente ricevute. E si tratta non di rado di andreolesi emigrati sparsi in tante parti del mondo. E', comunque, significativo che molti, pensando a Mariantonia viva nel Signore, parlano di "amore crocifisso": e difatti la monachella di S. Bruno offriva le sue sofferenze in semplicità e letizia di spirito, unendole a quelle del Signore, per la salvezza del mondo e, in particolare, per la santificazione dei sacerdoti. In verità, la monachella, pur vivendo nella solitudine della sua "cella", ha sempre pensato agli altri. Viveva della carità dei buoni, ma tratteneva per solo quanto era strettamente necessario per la giornata: il resto doveva andare ai più bisognosi.
Avevano ragione gli andreolesi a ricordarmi che, quando furono celebrate le esequie, il parroco aveva giustamente disposto con il plauso del popolo che la salma di Mariantonia attraversasse tutte le vie del paese prima che fosse portata al cimitero.
Nel 1995, a conclusione del primo Sinodo diocesano, che aveva esaltato la santità feriale, ho voluto pubblicare un opuscolo, Santi fra noi, per far conoscere figure di fedeli della diocesi che nel sec. XX si sono distinti per aver vissuto "La misura alta della vita cristiana ordinaria". L'opuscolo comprendeva ovviamente il profilo biografico di Mariantonia Samà.
Sono stato, poi, davvero felice quando, in vista della celebrazione del 50° anniversario del transito della Monachella di S. Bruno, soprattutto allo scopo di raccogliere le testimonianze, è stato pubblicato il volumetto Mariantonia Samà – la monachella di S. Bruno (1875-1953): 60 anni di Amore Crocifisso, preparato da don Gerardo Mongiardo, il quale dava anche opportuni consigli per l'introduzione della causa di beatificazione.
Si comprende, perciò, facilmente con quanta convinzione e, perche no, con quanta gioia io abbia autorizzato il 2 ottobre 2002 la traslazione della salma di Mariantonia Samà dal cimitero di S. Andrea alla chiesa parrocchiale "Santi Pietro e Paolo".
Intanto, il 5 aprile 2003 ho lasciato per limiti di età il governo pastorale della diocesi di Catanzaro-Squillace. Ma il mio successore, Mons. Antonio Ciliberti, pienamente d'accordo sull'iniziativa, il 3 agosto 2003 era fuori sede. E' toccato, pertanto, proprio a me presiedere la celebrazione per la tumulazione della salma di Mariantonia Samà nella sua chiesa parrocchiale.
Così, a significativa conclusione del mio servizio pastorale, con l'esempio luminoso di Mariantonia Samà, il Signore mi dava l'opportunità di ricordare a quanti erano stati affidati alle mie cure, ciò che era stata una costante del mio magistero in trentadue anni di episcopato: la vocazione universale alla santità.
           In fede.                                                    + Antonio Cantisani
                                                                                 Arciv. Em.
Catanzaro, 2 aprile 2011,
nella memoria di S. Francesco da Paola



Piccola Biografia di Mariantonia Samà
 
Nata a S. Andrea Jonio (Cz) il 2 marzo 1875, all'età di 12 anni fu posseduta da uno spirito maligno, che la tormentò nell'anima e nel corpo.
Dopo atroci sofferenze, portata alla Certosa di Serra S. Bruno, a seguito di lunghi e ripetuti esorcismi fu liberata dallo spirito immondo.
Alcuni anni dopo, colpita da una grave forma di artritismo, e costretta a mettersi a letto in posi­zione supina, con le gambe contratte, rimase così immobile per oltre 60 anni, sino alla morte.
Ritrovatasi sola nella casetta paterna, visse della carità e dell'assistenza delle persone a lei devote, esercitando le virtù cristiane e dimo­strando di essere in speciale comunicazione con Dio.
La santità di Mariantonia Samà consiste nella sua eroica conformità al volere divino. Gli spasi­mi che la martoriavano l'avvicinarono sempre più a Dio, e da Lui attinse la forza necessaria cibandosi ogni giorno della santa Eucaristia.
II suo letto di dolore divenne una cattedra di preghiera e di conforto a quanti andavano a manifestare le loro pene e sventure, e molti furo­no i segni di doni straordinari nella sua vita.
II suo nome è oggi conosciuto, benedetto ed invocato dappertutto, e parecchi attestano di aver ricevuto grazie particolari per sua interces­sione.
Visse per amore; per amore soffrì, e a tutti dal cielo addita la via dell'amore.
La diocesi di Catanzaro-Squillace ha avviato la causa della sua beatificazione il 2007.
Voglia il Signore, per mezzo della Chiesa, concederle il supremo culto degli eroi della virtù.