La beatificazione di Mariantonia e Nuccia Tolomeo - Basilica dell'Immacolata di Catanzaro, 3.10.2021

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sabato 18 maggio 2013

10. PROFILO DI MARIANTONIA SAMA'

Presentazione

Sono lieto di presentare agli amici questa breve pubblicazione di Salvatore Mongiardo, originale omaggio alla nostra concittadina Mariantonia Samà. L’autore ci propone la cara figura della Monachella di San Bruno nel travagliato scenario storico di Sant’Andrea Jonio del secolo scorso.
Recentemente è stato scoperto nell’Archivio Storico della Certosa di Serra San Bruno un manoscritto di quindici pagine che la riguarda, Guarigione della giovinetta di Sant’Andrea, una cronaca preziosa e dettagliata, collegata ai riti di liberazione degli spirdati o ossessi in Calabria.
Questa scoperta suona come un invito a riconsiderare la straordinaria vicenda della Monachella, cosi umile e nascosta, con nuovi approfondimenti. Allora la sua figura potrà apparire in tutta la sua ricchezza di significati per il mondo di oggi alla ricerca di senso e di speranza.
             Il Parroco              don Francesco Palaia

Cenni storici

Figlia unica, Mariantonia Samà nasce il 2 marzo 1875 pochi mesi dopo la morte del padre Bruno in un angusto tugurio, dove il sole non penetra mai e che si apre su una stradina larga un metro.
La madre è povera, come la maggior parte della popolazione calabrese negli anni di miseria che seguirono all’unificazione dell’Italia nel 1861. Mariantonia cresce attaccata alla madre che deve darsi da fare per procurare il cibo. Madre e figlia non sanno leggere né scrivere, parlano solo la lingua andreolese, aggettivo, questo, che indica pure la popolazione di Sant’Andrea Jonio, suggestivo paese in collina, affacciato sul mare. Esse vanno scalze d’estate e d’inverno, in campagna e in montagna, per il paese e dentro la chiesa, come faceva la stragrande maggioranza degli abitanti. Anche il vestire era scarso negli inverni, così rigidi - a fine del Milleottocento - che i lupi arrivavano alle prime case del paese cercando di sfamarsi. Una mattina Mariantonia, all’età di circa 11 anni, segue la madre e altri parenti fino al fiume Saluro, dove vanno a fare il bucato vicino al mulino ad acqua. Al ritorno verso casa, Mariantonia ha sete e si china a bere, come si faceva abitualmente, in una pozza d’acqua in località Briga. Arrivata a casa, rimane contratta e immobile per quasi un mese. Poi dice stranezze, si contorce, proferisce bestemmie e non prende cibo se non dopo la mezzanotte. Per il popolo non ci sono dubbi: ha preso gli spiriti bevendo alla pozza, è una indemoniata. Suppliche, preghiere, aspersioni non aiutano a guarire la poverina e così, dopo circa sei anni di cui l’ultima parte passata da Mariantonia a letto, interviene la baronessa Enrichetta Scoppa, residente a Sant’Andrea Jonio, la quale organizza una spedizione alla Certosa di Serra San Bruno per far esorcizzare la ragazza. Da quando, agli inizi del Millecinquecento, erano state ritrovate le ossa di San Bruno, in Calabria si era diffuso il suo culto come taumaturgo e liberatore degli indemoniati, chiamati anche ossessi o spiritati. Gli esorcismi avvenivano pubblicamente con lunghi riti collettivi che si svolgevano il lunedì e il martedì dopo Pentecoste nel lago in mezzo al quale si trova la statua di San Bruno penitente, poco lontano dalla Certosa.
Recentemente è stata ritrovata nell’archivio della Certosa di Serra, nel fascicolo N. XXVI, una cronaca manoscritta di 15 pagine, datata 1904. L’anonimo cronista scrive che nel mese di giugno, verso l’anno 1894, essendo priore della Certosa don Pio Assandro, Mariantonia viene portata per otto ore da Sant’Andrea Jonio a Serra attraverso il viottolo di montagna. Ci sono con lei la madre e quattro uomini che reggono le stanghe di una cassa dentro la quale essi avevano posto a giacere Mariantonia a causa delle sue continue convulsioni. Abbiamo anche i nomi dei quattro portatori: Antonio Mannello - la tradizione orale parla di Vincenzo Mannello -, Vincenzo e Giuseppe Lombardo e Antonio Frustaci.
Durante il tragitto a volte veniva aperta la cassa per chiedere a Mariantonia se aveva bisogno di qualcosa, ma lei non voleva nulla e diventava più agitata avvicinandosi alla meta. La comitiva che trasportava la cassa con l’inferma giunse a Serra prima di mezzogiorno: attraversando la strada, molta gente intenerita da quello spettacolo seguì l’ammalata alla Certosa. Lì si fermano davanti al portone e iniziano i riti di esorcismo in latino, praticati dall’arciprete di Amaroni che era in visita ai certosini. La folla di serresi si unisce in preghiera, ma non succede nulla. Nel frattempo era rientrato il priore della Certosa, che si trovava fuori all’arrivo di Mariantonia, e prega assieme ad alcuni monaci per cinque ore, ma senza alcun risultato. Alla fine egli ordina di andare a prendere il busto reliquario in argento, venerato sopra l’altare maggiore della cappella conventuale. Quel busto contiene le reliquie di San Bruno o Brunone di Colonia. Si tratta del fondatore dell’ordine dei certosini morto a Serra, in Calabria, dove si era ritirato e aveva eretto la seconda certosa dopo la prima eretta a Chartreuse in Francia. Il busto viene posto davanti alla portineria, su un banco di pietra sito tra l’abbeveratoio e la torre del conte Ruggero. A quel punto succede il miracolo: Mariantonia vede San Bruno sorridente, nella sua forma naturale ma in argento, si leva da sola, abbraccia la statua e grida: San Bruno mi ha fatto la grazia! E si ritrova guarita. Grande esultanza; la cassa nella quale Mariantonia era stata portata e i suoi vestiti vengono bruciati accanto al muro della Certosa. Mariantonia ritorna a Sant’Andrea Jonio per la strada carrozzabile di Soverato, come si usava nei casi di liberazione dal demonio: significava abbandonare la strada vecchia e intraprenderne una nuova. Ma la storia di Mariantonia è solo agli inizi. In paese la vita è durissima e Mariantonia ha una salute fragile. Dopo qualche tempo, forse colpita da artrosi, si mette a letto, coricata sulla schiena, con le gambe rattrappite e le ginocchia levate in alto come una montagnola. Totalmente immobile, se non per l’uso delle mani per sgranare il rosario e mangiare qualcosa con le dita, rimane su quel letto per sessant’anni, fino alla morte avvenuta nel 1953. Proviamo a stenderci su un letto, mettiamoci con le gambe rattrappite e le ginocchia in alto e proviamo a pensare che rimarremo in quella posizione per sessanta anni: la disperazione più nera ci stringerebbe il cuore. Non fu così per Mariantonia che, all’età di 34 anni, perse anche la madre Marianna. Tuttavia Mariantonia non rimase mai sola. Il popolo andreolese andò in suo aiuto e ci fu sempre una donna pronta ad accudirla giorno e notte. Si aggiungano le visite giornaliere di uomini, donne e bambini, accompagnate dal dono di pane fresco, polpette, cibi leggeri, frutta, ortaggi, ricotte, olio, che si confacevano alla immobilità di Mariantonia, ai suoi dolori e ai forti disturbi intestinali.
davanti al lettuccio il crocifisso
Il bel Gesù
Per pudore, lei non volle mai che alcun medico la visitasse nelle parti dolenti. Inoltre i doni in cibo, a volte sovrabbondanti, venivano distribuiti da Mariantonia ai bisognosi, trattenendo per sé solo lo stretto necessario per il giorno ed esclamando: Pe domana Dio provvìda! E rifiutava sempre i doni in danaro. Sul muro di fronte al suo letto era appeso un crocefisso al quale lei si uniformava accettando, anzi amando la sua sofferenza e invocava Cristo chiamandolo chiddhu bellu Gesù, quel bel Gesù, espressione andreolese di grande affetto riservata alle persone più amate e che si potrebbe tradurre con quel diletto Gesù. 
Ogni mattina riceveva la comunione e tre volte al giorno, mattina, mezzogiorno e sera, c’era nella sua casetta la recita del rosario in latino insieme con le visitatrici.
Il numero di persone che ricorrevano a lei per ottenere grazie è impressionante: Che fine ha fatto mio figlio che è in guerra e non scrive più? E’ opportuno o no emigrare in America? Mia figlia si vuole fidanzare con… E’ bene? Mia sorella è malata grave, guarirà? A tutti quelli che le chiedevano tali cose lei infondeva coraggio, dava speranza e spesso faceva loro ottenere la grazia domandata parlando con la sua voce flebile e dolce. Le Suore Riparatrici del Sacro Cuore, alle quali la baronessa Scoppa aveva lasciato il suo palazzo di Sant’Andrea Jonio, la elessero loro consorella con voti privati; da allora la sua testa fu coperta con il velo nero della congregazione e Mariantonia fu chiamata la Monachella di San Bruno. Le Suore Riparatrici provvedevano regolarmente a lavarla e a pettinarla. Lei spirò nella mattinata del 27 maggio 1953, all’età di 78 anni, mentre alcune donne stavano al suo capezzale recitando le litanie della Madonna.

Non aveva nessuna piaga di decubito, la sua pelle era tutta fresca e liscia. Rivestita di un abito di lino bianco, fu portata in processione per le vie del paese con la bara aperta e acclamata santa dal popolo. Nel 2003, a 50 anni dalla morte, fu traslata dalla cappella delle Suore Riparatrici del cimitero nella chiesa parrocchiale di Sant’Andrea, distante in linea d’aria pochi metri dalla sua abitazione che oggi, restaurata dopo un lungo abbandono, appare come una linda casetta dove molti vanno a pregare. Il numero di grazie ottenute, le testimonianze dei fedeli d’Italia e d’America è impressionante. La Monachella non mette soggezione, ci si rivolge a lei come a una persona di famiglia, consola e dà coraggio oggi come faceva da viva. Molti sono i segni rilevati come: bilocazione, profumo di rose o gelsomino, aiuto in situazioni difficili, guarigioni miracolose. La vita di Mariantonia appare come un caso raro nel panorama dei santi cristiani se pensiamo ai sessanta anni ininterrotti della sua immobile degenza. La Monachella non poteva fare altro che dire poche parole in dialetto, pregare e a volte assentarsi in estasi. Ciò testimonia che la fede e l’amore sono capaci di trasformare una condizione umanamente disperata in una fonte inesauribile di grazia e conforto.
Nel 2007 l’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, monsignor Antonio Ciliberti, ha ufficialmente aperto l’inchiesta diocesana per la canonizzazione della Monachella, costituendo l’apposito tribunale ecclesiastico, che dispone già di una vasta documentazione di testimonianze sull’eroicità delle sue virtù, sulla fama di santità e sulle grazie ricevute dai fedeli.

7. SI CONFORMO' A CRISTO CROCIFISSO PER IL BENE DELLE ANIME

"Sul letto del dolore si conformò a Cristo crocifisso per il  bene delle anime"[1]

di Don Vincenzo Manzione

L'Arcivescovo di Catanzaro-Squillace, Mons. Antonio Ciliberti, durante la visita pastorale a S. Andrea Ionio (Cz), ha ufficialmente aperto l'inchiesta diocesana per la canonizza­zione di Mariantonia Samà, detta comunemente la "mona­chella di S. Bruno".
Il 6 gennaio 2007, l'Arcivescovo aveva nominato postulatore della causa, don Vincenzo Manzione del Clero della Diocesi di Teggiano-Policastro. Il 9 febbraio, Mons. Ciliberti aveva provveduto alla costituzione del Tribunale, nominando il canonico Edoardo Varano, Giudice delegato; don Vincenzo Zoccali, promotore di Giustizia; Rita Domimijanni, notaio titolare e Daniela Martin, notaio sostituto. Della Commissione storica fanno parte: don Leonardo Calabretta e don Gregorio Montillo.
Mariantonia Samà, detta anche la monachella di San Bruno, nacque a S. Andrea Ionio, provincia di Catanzaro, il  2 marzo 1875, da una famiglia molto povera.
Il padre, Bruno, morì prima che lei nascesse. Fu, quindi, la madre, Marianna Vivino, a doversi interessare della crescita e del mantenimento della piccola Mariantonia.
All'età di 13-15 anni circa, la ragazza fu colpita da una grave forma di artrite deformante ed osteoporosi che la inchiodò per tutta la vita a letto, immobile, in posizione supi­na, con le ginocchia alzate e contratte per oltre 60 anni.
Abitava con la madre in un'umile, angusta e buia casetta, rassomigliante piuttosto ad un tugurio, in un vicolo strettissi­mo del paese, dove il  sole non faceva mai capolino.
Il buio, il  freddo, l'estrema povertà dell'ambiente, insieme alle precarie condizioni economiche della famiglia, resero più  atroce la sofferenza fisica di Mariantonia e quella morale della madre; ma entrambi ebbero la forza e il  coraggio della fede e della speranza nell'aiuto della divina Provvidenza.
Mariantonia abbracciò con grande serenità dell'anima, direi con vera gioia del cuore, la sua penosa malattia, confor­tata soltanto dal suo ardente amore al Crocifisso che vedeva, contemplava ed adorava appeso alla parete di fronte al suo misero giaciglio.
Col lento trascorrere delle ore, dei giorni e degli anni, rea­lizzò una piena assimilazione a Lui, divenendo cosi copia perfetta di Gesù Crocifisso.
Su quel letto di dolore, sul quale fu inchiodata come su di una croce per tutta la vita, diventato altare, calvario e catte­dra, Mariantonia poté essere sacerdotessa, vittima e maestra di vita e di virtù eroicamente vissute e, perciò, esempio e sprone per tutti alla santità. Fu cosi perfetta la sua conformazione al Crocefisso Signore da poter dire di con l'Apostolo Paolo: "Questa vita che vivo nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio... Sono stata crocifissa con Cristo, non sono più  io che vivo, ma è Cristo, che vive in me" (Gal. 2, 20 ss.).
La sua vita nascosta in Cristo crocifisso si nutrì costantemente dell'Eucaristia, che riceveva quotidianamente e che, durante le lunghe ore di ringraziamento, adorava in unione mistica di amore sponsale.
Mariantonia, pur essendo sprovvista di cultura umana, custodiva accuratamente nella sua anima illibata i doni infusi dallo Spirito Santo: Intelletto, Scienza e Sapienza, che le resero facile e agevole il  volo verso le più  alte manifesta­zioni dello Spirito, divenendo vera "luce sul monte" per illu­minare, elevare ed orientare alla santificazione i numerosissi­mi fedeli che andavano a farle visita per ascoltarla, ammirar­la, chiederle consigli ed aiuti spirituali.
Era tanto vera e sincera la fede di quella gente e cosi spon­tanea la loro venerazione per la Serva di Dio che, ancora oggi, dopo 54 anni dalla morte, possiamo vantare il  possesso di una vasta documentazione di testimonianze, di segni straordinari, di illuminazioni e di grazie ricevute, che un'apposita com­missione storica, già nominata, dovrà accuratamente esami­nare.
La signora Dora Samà, che da ragazza ebbe frequenti con­tatti con la Serva di Dio, nel suo recente libro biografico: "Una vita nascosta in Cristo", scrive: "Non è mai uscito dalla sua bocca un solo lamento; forse erano momenti di dolore quelli in cui esclamava: "Dio mio e mio Tutto".
Quando le persone che andavano a farle visita, in sua presenza, aggiungevano qualche critica durante la conversazione, in quei momenti, fissando il Crocifisso, con voce addolorata ripeteva: "Quanto soffre quel buon Gesù"!
Mariantonia Samà morì, come Gesù sulla croce, in odore di santità, il  27 maggio 1953.
I funerali furono una corale partecipazione di popolo osan­nante alla sua santità e al suo martirio incruento per amore.
Sulla sua tomba fu posta l'epigrafe che è un vero testa­mento spirituale di una vita crocifissa per amore: "Visse per amore, soffrì per amore ed ora dal Cielo a tutti addita la via dell'Amore". Ancora oggi, a distanza di più  di mezzo secolo, il  profumo della sua santità e delle sue virtù eroiche continua a diffon­dersi dentro e fuori del suo paese.
I pellegrini continuano ad accorrere a frotte da tutte le parti a S. Andrea Ionio per visitare e pregare sulla sua tomba, ora trasferita nella Chiesa parrocchiale Santi Pietro e Paolo, per poi recarsi nella vicina casetta a deporre un fiore sul povero letto dove si consumò il  suo calvario di dolorosa crocifissio­ne e per impetrare dalla sua intercessione aiuti e favori cele­sti, per sfogare le proprie pene interiori e chiedere sollievo e conforto per le sofferenze del corpo.
E' veramente commovente ed edificante poter leggere quelle testimonianze di fede, di speranza e di amore che i visitatori scrivono nei registri appositamente collocati in un angolino di quel povero tugurio.
Oltre ad invocare grazie personali, tutti manifestano ferma volontà di conversione e di imitazione della vita e delle virtù della Serva di Dio. In special modo, della sua fede operosa e viva; della sua speranza invincibile; della sua carità senza misura; della sua povertà, umiltà, e purezza di cuore; della sua serenità, pazienza e gioia nel portare la propria croce; della sua generosa disponibilità verso gli altri; della sua illi­mitata fiducia nella divina Provvidenza; del suo totale abban­dono alla Volontà di Dio.
Di tali sublimi esempi abbiamo tutti bisogno, specialmen­te i giovani, per colmare quel vuoto interiore che una cultura negatrice dei valori soprannaturali, sta diffondendo nella nostra società.
Per il  suo stile di vita condotto nella sofferenza, che ne fece una martire di forzata immobilità, la Serva di Dio Mariantonia Samà resta un perenne e luminoso esempio di accettazione incondizionata del dolore ed un sicuro, sublime richiamo per noi a purificarci ed elevarci per mezzo di esso.                              
Roma, 27 aprile 2007
"Ha preso la croce, ha imitato Cristo, suo sposo, ora vive con Lui, splendente come il  sole nell'assemblea dei Santi"    (dalla liturgia).


[1] Osservatore Romano del 27 aprile 2007 n. 95, pagina 4