La beatificazione di Mariantonia e Nuccia Tolomeo - Basilica dell'Immacolata di Catanzaro, 3.10.2021

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lunedì 5 agosto 2013

18. LA “CONSOLAZIONE” DI SANT'ANDREA JONIO

Mariantonia Samà nacque il 2 marzo 1875 in Sant'Andrea Ionio, piccolo paese in provincia di Catanzaro e visse in condizioni di estrema povertà, in una cameretta simile ad una cella.
All'età di dodici anni, seguendo la madre in campagna, fu invasa dallo spirito "maligno", dopo aver bevuto dell'acqua corrente tra i sassi.
Viste le inutili benedizioni impartitele anche dai frati del convento del vicino comune di Badolato, si ricorse all'esorcismo presso la Certosa di Serra San Bruno (ora in provincia di Vibo Valentia).
Dopo alcuni tentativi del Padre certosino, Mariantonia fu liberata dal "maligno", ma si narra che lo stesso pronunciò la frase: "La lascio viva, ma storpia".
Trascorsi un paio di anni, Mariantonia -- non si sa se per "vendetta" di Satana... -- rimase immobile a letto, fino alla morte e, quindi, per oltre sessant'anni, in posizione supina, con le ginocchia sempre alzate e contratte.
Iniziò per lei un lungo e doloroso calvario che sopportò con la forza dell'amore, con lo sguardo sempre rivolto al Crocifisso appeso alla parete di fronte al letto.
Guidata dallo Spirito Santo nella comprensione del "mistero della Croce", considerò, quindi, un dono la sua malattia, accettando con serena rassegnazione la definitiva immobilità, che offriva a Dio per la conversione dei peccatori, in riparazione delle loro offese e per ottenere risposta alle richieste di coloro che cercavano conforto presso di lei.
Il Crocefisso
Il suo piccolo letto divenne un altare di offerta e di partecipazione alla Passione ed alla Croce di Gesù: "non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me" (Paolo - Gal.2,20).
Fu sempre assistita da volontarie, sotto il costante controllo delle Suore Riparatrici del Sacro Cuore, che curarono anche la sua preparazione spirituale, trasmettendole una sentita devozione verso lo Spirito Santo ed il Sacro Cuore di Gesù, al quale Mariantonia si rivolse per tutta la vita con spirito di "riparazione eucaristica".
Le Suore decisero di aggregarla alla loro Congregazione e, dopo i voti, Mariantonia divenne per tutti la "Monachella di San Bruno".
Le virtù che hanno caratterizzato la sua vita sono numerose:
la semplicità d'animo; l'umiltà; la modestia; la serenità, che traspariva dal suo volto anche nei momenti di maggior sofferenza; la disponibilità; la generosità ed un'immensa fiducia nella Divina Provvidenza.
Lei, che poteva vivere solo di offerte, divideva con gli altri bisognosi del paese tutto quanto riceveva, sicura che il giorno successivo vi avrebbe comunque provveduto il buon Dio e dimostrando, così, la verità delle parole di San Paolo: "Si è più felici nel dare che nel ricevere" (At. 20,35).
La virtù esercitata da Mariantonia in maniera estremamente eroica è stata senz'altro la pazienza che le impedì non solo di ribellarsi alla sua infermità, ma anche di lamentarsi quando i dolori lancinanti, specie durante la Quaresima, da lei sempre sofferta in condivisione con Cristo, martoriavano il suo esile corpo.
Viceversa, il suo spirito era forte, perché lo alimentava quotidianamente con la preghiera e con l'ostia che le portava puntualmente il suo confessore e dalla quale attingeva sostegno per sopportare la sofferenza, per lottare contro il male e per vivere in perenne amicizia con il Signore.
La sua cameretta, con le pareti tappezzate da molte immagini sacre, sembrava un piccolo "tempio", soprattutto quando, per ben tre volte al giorno, vi era la recita comunitaria del Santo Rosario, essendo Mariantonia "calamita" di preghiere.
Già durante la vita, la sua fama di santità si era diffusa tra gli abitanti del paese, molti dei quali avevano sperimentato i suoi doni della profezia e della guarigione.
Ma oltre a questi, tanti altri sono stati i carismi concessi a lei dallo Spirito Santo: il dono dell'estasi; dell'introspezione; della bilocazione; dell'apparizione; del profumo, sempre presente nella sua camera; della condivisione delle sofferenze di Gesù durante la Quaresima e la Passione e, infine, il dono dell'immunità da piaghe da decubito, anche questo scientificamente inspiegabile, benché fenomeno oggettivo e visibile a tutti.
Mariantonia esalò l'ultimo respiro la mattina del 27 maggio 1953.
Le esequie si svolsero nel pomeriggio dello stesso giorno e l'Arciprete, don Andrea Samà, in considerazione della fama di santità, ordinò che la salma, deposta nella bara aperta, per consentire l'ultimo saluto dei compaesani, venisse accompagnata in processione per alcune vie del paese, prima di raggiungere il Cimitero.
Qui rimase esposta ai fedeli fino al mattino del 29 maggio e molti attestano di aver visto, nel baciarla, che le sue palpebre si alzavano ed abbassavano e di aver sentito un delizioso profumo di rose, non proveniente da fiori...
Attualmente, i sacri resti della Serva di Dio Mariantonia Samà, assieme alla sua inseparabile corona del Rosario, si trovano nella Chiesa Parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo, dove sono stati traslati il 3 agosto 2003.
Il 5 agosto 2007 è stato aperto il processo di beatificazione e canonizzazione presso l’Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace.

16. LA MONACHELLA DI SAN BRUNO

Nata, vissuta e morta a Sant’Andrea Jonio (CZ)

Cenni storici di Salvatore Mongiardo

Unica foto della Monachella vivente, ripresa da Orazio Vitale e
riportata nel suo libro: Sant’Andrea sul Jonio attraverso i secoli, 1954
Presentazione
Sono lieto di presentare agli amici questa breve pubblicazione di Salvatore Mongiardo, originale omaggio alla nostra concittadina Mariantonia Samà. L’autore ci propone la cara figura della Monachella di San Bruno nel travagliato scenario storico di Sant’Andrea Jonio del secolo scorso. Recentemente è stato scoperto nell’Archivio Storico della Certosa di Serra San Bruno, un manoscritto di quindici pagine che la riguarda, Guarigione della giovinetta di Sant’Andrea, una cronaca preziosa e dettagliata, collegata ai riti di liberazione degli spirdati o ossessi in Calabria. Questa scoperta suona come un invito a riconsiderare la straordinaria vicenda della Monachella, cosi umile e nascosta, con nuovi approfondimenti. Allora la sua figura potrà apparire in tutta la sua ricchezza di significati per il mondo di oggi alla ricerca di senso e di speranza.
Il Parroco
don Francesco Palaia
Cenni storici
Figlia unica, Mariantonia Samà nasce il 2 marzo 1875 pochi mesi dopo la morte del padre Bruno in un angusto tugurio, dove il sole non penetra mai e che si apre su una stradina larga un metro. La madre è povera, come la maggior parte della popolazione calabrese negli anni di miseria che seguirono all’unificazione dell’Italia nel 1861.
Mariantonia cresce attaccata alla madre che deve darsi da fare per procurare il cibo. Madre e figlia non sanno leggere né scrivere, parlano solo la lingua andreolese, aggettivo, questo, che indica pure la popolazione di Sant’Andrea Jonio, suggestivo paese in collina, affacciato sul mare.
la casetta (tugurio)
Esse vanno scalze d’estate e d’inverno, in campagna e in montagna, per il paese e dentro la chiesa, come faceva la stragrande maggioranza degli abitanti. Anche il vestire era scarso negli inverni, così rigidi – a fine del Milleottocento - che i lupi arrivavano alle prime case del paese cercando di sfamarsi.
Una mattina Mariantonia, all’età di circa 11 anni, segue la madre e altri parenti fino al fiume Saluro, dove vanno a fare il bucato vicino al mulino ad acqua. Al ritorno verso casa, Mariantonia ha sete e si china a bere, come si faceva abitualmente, in una pozza d’acqua in località Briga. Arrivata a casa, rimane contratta e immobile per quasi un mese. Poi dice stranezze, si contorce, proferisce bestemmie e non prende cibo se non dopo la mezzanotte. Per il popolo non ci sono dubbi: ha preso gli spiriti bevendo alla pozza, è una indemoniata.
Suppliche, preghiere, aspersioni non aiutano a guarire la poverina e così, dopo circa sei anni di cui l’ultima parte passata da Mariantonia a letto, interviene la baronessa Enrichetta Scoppa, residente a Sant’Andrea Jonio, la quale organizza una spedizione alla Certosa di Serra San Bruno per far esorcizzare la ragazza. Da quando, agli inizi del Millecinquecento, erano state ritrovate le ossa di San Bruno, in Calabria si era diffuso il suo culto come taumaturgo e liberatore degli indemoniati, chiamati anche ossessi o spiritati. Gli esorcismi avvenivano pubblicamente con lunghi riti collettivi che si svolgevano il lunedì e il martedì dopo Pentecoste nel lago in mezzo al quale si trova la statua di San Bruno penitente, poco lontano dalla Certosa.
Recentemente è stata ritrovata nell’archivio della Certosa di Serra, nel fascicolo N. XXVI, una cronaca manoscritta di 15 pagine, datata 1904. L’anonimo cronista scrive che nel mese di giugno, verso l’anno 1894, essendo priore della Certosa don Pio Assandro, Mariantonia viene portata per otto ore da Sant’Andrea Jonio a Serra attraverso il viottolo di montagna. Ci sono con lei la madre e quattro uomini che reggono le stanghe di una cassa dentro la quale essi avevano posto a giacere Mariantonia a causa delle sue continue convulsioni. Abbiamo anche i nomi dei quattro portatori: Antonio Mannello - la tradizione orale parla di Vincenzo Mannello -, Vincenzo e Giuseppe Lombardo e Antonio Frustaci.
Sant'Andrea Jonio

Durante il tragitto a volte veniva aperta la cassa per chiedere a Mariantonia se aveva bisogno di qualcosa, ma lei non voleva nulla e diventava più agitata avvicinandosi alla meta.
La comitiva che trasportava la cassa con l’inferma giunse a Serra prima di mezzogiorno: attraversando la strada, molta gente intenerita da quello spettacolo seguì l’ammalata alla Certosa. Lì si fermano davanti al portone e iniziano i riti di esorcismo in latino, praticati dall’arciprete di Amaroni che era in visita ai certosini. La folla di serresi si unisce in preghiera, ma non succede nulla. Nel frattempo era rientrato il priore della Certosa, che si trovava fuori all’arrivo di Mariantonia, e prega assieme ad alcuni monaci per cinque ore, ma senza alcun risultato. Alla fine egli ordina di andare a prendere il busto reliquario in argento, venerato sopra l’altare maggiore della cappella conventuale.
Quel busto contiene le reliquie di San Bruno o Brunone di Colonia. Si tratta del fondatore dell’ordine dei certosini morto a Serra, in Calabria, dove si era ritirato e aveva eretto la seconda certosa dopo la prima eretta a Chartreuse in Francia.
Il busto viene posto davanti alla portineria, su un banco di pietra sito tra l’abbeveratoio e la torre del conte Ruggero. A quel punto succede il miracolo: Mariantonia vede San Bruno sorridente, nella sua forma naturale ma in argento, si leva da sola, abbraccia la statua e grida: San Bruno mi ha fatto la grazia! E si ritrova guarita. Grande esultanza; la cassa nella quale Mariantonia era stata portata e i suoi vestiti vengono bruciati accanto al muro della Certosa. Mariantonia ritorna a Sant’Andrea Jonio per la strada carrozzabile di Soverato, come si usava
nei casi di liberazione dal demonio: significava abbandonare la strada vecchia e intraprenderne una nuova.
Ma la storia di Mariantonia è solo agli inizi. In paese la vita è durissima e Mariantonia ha una salute fragile. Dopo qualche tempo, forse colpita da artrosi, si mette a letto, coricata sulla schiena, con le gambe rattrappite e le ginocchia levate in alto come una montagnola. Totalmente immobile, se non per l’uso delle mani per sgranare il rosario e mangiare qualcosa con le dita, rimane su quel letto per … sessant’anni, fino alla morte avvenuta nel 1953.
Proviamo a stenderci su un letto, mettiamoci con le gambe rattrappite e le ginocchia in alto e proviamo a pensare che rimarremo in quella posizione per sessanta anni: la disperazione più nera ci stringerebbe il cuore. Non fu così per Mariantonia che, all’età di 34 anni, perse anche la madre Marianna. Tuttavia Mariantonia non rimase mai sola. Il popolo andreolese andò in suo aiuto e ci fu sempre una donna pronta ad accudirla giorno e notte. Si aggiungano le visite
giornaliere di uomini, donne e bambini, accompagnate dal dono di pane fresco, polpette, cibi leggeri, frutta, ortaggi, ricotte, olio, che si confacevano alla immobilità di Mariantonia, ai suoi dolori e ai forti disturbi intestinali.
Per pudore, lei non volle mai che alcun medico la visitasse nelle parti dolenti. Inoltre i doni in cibo, a volte sovrabbondanti, venivano distribuiti da Mariantonia ai bisognosi, trattenendo per sé solo lo stretto necessario per il giorno ed esclamando: Pe domana Dio provvìda! E rifiutava sempre i doni in danaro. Sul muro di fronte al suo letto era appeso un crocefisso al quale lei si uniformava accettando, anzi amando la sua sofferenza e invocava Cristo chiamandolo chiddhu bellu Gesù, quel bel Gesù, espressione andreolese di grande affetto riservata alle persone più amate e che si potrebbe tradurre con quel diletto Gesù.
La parete col Crocifisso
Ogni mattina riceveva la comunione e tre volte al giorno, mattina, mezzogiorno e sera, c’era nella sua casetta la recita del rosario in latino insieme con le visitatrici.
Il numero di persone che ricorrevano a lei per ottenere grazie è impressionante: Che fine ha fatto mio figlio che è in guerra e non scrive più? E’ opportuno o no emigrare in America? Mia figlia si vuole fidanzare con… E’ bene? Mia sorella è malata grave, guarirà? A tutti quelli che le chiedevano tali cose lei infondeva coraggio, dava speranza e spesso faceva loro ottenere la grazia domandata parlando con la sua voce flebile e dolce.
Le Suore Riparatrici del Sacro Cuore, alle quali la baronessa Scoppa aveva lasciato il suo palazzo di Sant’Andrea Jonio, la elessero loro consorella con voti privati; da allora la sua testa fu coperta con il velo nero della congregazione e Mariantonia fu chiamata la Monachella di San Bruno. Le Suore Riparatrici provvedevano regolarmente a lavarla e a pettinarla.
Lei spirò nella mattinata del 27 maggio 1953, all’età di 78 anni, mentre alcune donne stavano al suo capezzale recitando le litanie della Madonna. Non aveva nessuna piaga di decubito, la sua pelle era tutta fresca e liscia. Rivestita di un abito di lino bianco, fu portata in processione per le vie del paese con la bara aperta e acclamata santa dal popolo. Nel 2003, a 50 anni dalla morte, fu traslata dalla cappella delle Suore Riparatrici del cimitero nella chiesa parrocchiale di Sant’Andrea, distante in linea d’aria pochi metri dalla sua abitazione che oggi, restaurata dopo un lungo abbandono, appare come una linda casetta dove molti vanno a pregare.


Il numero di grazie ottenute, le testimonianze dei fedeli d’Italia e d’America è impressionante. La Monachella non mette soggezione, ci si rivolge a lei come a una persona di famiglia, consola e dà coraggio oggi come faceva da viva.
Molti sono i segni rilevati come: bilocazione, profumo di rose o gelsomino, aiuto in situazioni
difficili, guarigioni miracolose. La vita di Mariantonia appare come un caso raro nel panorama dei santi cristiani se pensiamo ai sessanta anni ininterrotti della sua immobile degenza. La Monachella non poteva fare altro che dire poche parole in dialetto, pregare e a volte assentarsi in estasi. Ciò testimonia che la fede e l’amore sono capaci di trasformare una condizione umanamente disperata in una fonte inesauribile di grazia e conforto.
Nel 2007 l’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, monsignor Antonio Ciliberti, ha ufficialmente aperto l’inchiesta diocesana per la canonizzazione della Monachella, costituendo l’apposito tribunale ecclesiastico, che dispone già di una vasta documentazione di testimonianze sull’eroicità delle sue virtù, sulla fama di santità e sulle grazie ricevute dai fedeli.

Preghiera
Signore Gesù, che hai voluto chiamare la tua serva Mariantonia a seguirti da vicino sulla via della croce vivendo immobile a letto per sessanta anni, concedimi di poterti amare anche nelle dure prove della vita. Ti prego umilmente di voler glorificare questa tua serva e di accordarmi, per sua intercessione, la grazia particolare che ti chiedo… Amen.

Grazie ricevute
Chiunque ritenga di avere ricevuto grazie per intercessione della Monachella, è pregato di
notificarlo al: Parroco don Francesco Palaia - 88066 Sant’Andrea Jonio CZ, tel.+39 - 0967 - 44219.

Visite alla Monachella
Sant’Andrea Jonio, nome abbreviato di Sant’Andrea Apostolo dello Jonio, si trova in provincia di Catanzaro, 8 km a sud di Soverato. Dalla Marina si sale per 4 km al centro storico che gode di un’impareggiabile vista sul mare.
In fondo a Piazza Castello si trova la chiesa parrocchiale, dove le spoglie della Monachella sono tumulate nella parete di destra. La casetta della Monachella, che si può sempre visitare durante il giorno, è nel vicolo di fronte alla chiesa.


Le foto delle esequie sono tratte dall’archivio di Gerardo Cosentino.
La preghiera è stata composta da don Edoardo Varano.

15. LA SANTITA'

 Udienza di Mercoledì 13 Aprile 2011 di Papa Benedetto XVI - Roma 

Il Crocifisso nella casa della Serva di Dio
Cari fratelli e sorelle, nelle Udienze generali di questi ultimi due anni ci hanno accompagnato le figure di tanti Santi e Sante: abbiamo imparato a conoscerli più da vicino e a capire che tutta la storia della Chiesa è segnata da questi uomini e donne che con la loro fede, con la loro carità, con la loro vita sono stati dei fari per tante generazioni, e lo sono anche per noi. I Santi manifestano in diversi modi la presenza potente e trasformante del Risorto; hanno lasciato che Cristo afferrasse così pienamente la loro vita da poter affermare con san Paolo “non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Seguire il loro esempio, ricorrere alla loro intercessione, entrare in comunione con loro, “ci unisce a Cristo, dal quale, come dalla Fonte e dal Capo, promana tutta la grazia e tutta la vita dello stesso del Popolo di Dio” (Conc. Ec. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium 50). Al termine di questo ciclo di catechesi, vorrei allora offrire qualche pensiero su che cosa sia la santità. Che cosa vuol dire essere santi? Chi è chiamato ad essere santo? Spesso si è portati ancora a pensare che la santità sia una meta riservata a pochi eletti. San Paolo, invece, parla del grande disegno di Dio e afferma: “In lui – Cristo– (Dio) ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità” (Ef 1,4). E parla di noi tutti. Al centro del disegno divino c’è Cristo, nel quale Dio mostra il suo Volto: il Mistero nascosto nei secoli si è rivelato in pienezza nel Verbo fatto carne. E Paolo poi dice: “E’ piaciuto infatti a Dio che abiti in Lui tutta la pienezza” (Col 1,19). In Cristo il Dio vivente si è fatto vicino, visibile, ascoltabile, toccabile affinché ognuno possa attingere dalla sua pienezza di grazia e di verità (cfr Gv 1,14 - 16). Perciò, tutta l’esistenza cristiana conosce un’unica suprema legge,quella che san Paolo esprime in una formula che ricorre in tutti i suoi scritti: in Cristo Gesù. La santità, la pienezza della vita cristiana non consiste nel compiere imprese straordinarie, ma nell’unirsi a Cristo, nel vivere i suoi misteri, nel fare nostri i suoi atteggiamenti, i suoi pensieri, i suoi comportamenti. La misura della santità è data dalla statura che Cristo raggiunge in noi, da quanto, con la forza dello Spirito Santo, modelliamo tutta la nostra vita sulla sua. E’ l’essere conformi a Gesù, come afferma san Paolo:“Quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo” (Rm 8,29). E sant’Agostino esclama: “Viva sarà la mia vita tutta piena di Te” (Confessioni, 10,28). Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione sulla Chiesa, parla con chiarezza della chiamata universale alla santità, affermando che nessuno ne è escluso: “Nei vari generi di vita e nelle varie professioni un’unica santità è praticata da tutti coloro che sono mossi dallo Spirito di Dio e ….....seguono Cristo povero, umile e carico della croce, per meritare di essere partecipi della sua gloria” (n. 41). Ma rimane la questione: come possiamo percorrere la strada della santità,rispondere a questa chiamata? Posso farlo con le mie forze? La risposta è chiara: una vita santa non è frutto principalmente del nostro sforzo, delle nostre azioni, perché è Dio, il tre volte Santo (cfr Is 6,3), che ci rende santi, è l’azione dello Spirito Santo che ci anima dal di dentro, è la vita stessa di Cristo Risorto che ci è comunicata e che ci trasforma. Per dirlo ancora una volta con il Concilio Vaticano II: “I seguaci di Cristo, chiamati da Dio non secondo le loro opere, ma secondo il disegno della sua grazia e giustificati in Gesù Signore, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò real mente santi. Essi quindi devono, con l’aiuto di Dio, mantenere nella loro vita e perfezionare la santità che hanno ricevuta” (ibid.,40). La santità ha dunque la sua radice ultima nella grazia battesimale, nell’essere innestati nel Mistero pasquale di Cristo, con cui ci viene comunicato il suo Spirito, la sua vita di Risorto. San Paolo sottolinea in modo molto forte la trasformazione che opera nell’uomo la grazia battesimale e arriva a coniare una terminologia nuova, forgiata con la preposizione “con”: con-morti, con-sepolti, con-risucitati, con-vivificati con Cristo; il nostro destino è legato indissolubilmente al suo. “Per mezzo del battesimo - scrive - siamo stati sepolti insieme con lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti… così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” ( Rm 6,4). Ma Dio rispetta sempre la nostra libertà e chiede che accettiamo questo dono e viviamo le esigenze che esso comporta, chiede che ci lasciamo trasformare dall’azione dello Spirito Santo, conformando la nostra volontà alla volontà di Dio. Come può avvenire che il nostro modo di pensare e le nostre azioni diventino il pensare e l’agire con Cristo e di Cristo? Qual è l’anima della santità? Di nuovo il Concilio Vaticano II precisa; ci dice che la santità cristiana non è altro che la carità pienamente vissuta. “«Dio è amore; chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui» (1Gv 4,16). Ora, Dio ha largamente diffuso il suo amore nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci fu dato (cfr Rm 5,5); perciò il dono primo e più necessario è la carità, con la quale amiamo Dio sopra ogni cosa e il prossimo per amore di Lui. Ma perché la carità, come un buon seme, cresca nell’anima e vi fruttifichi, ogni fedele deve ascoltare volentieri la parola di Dio e, con l'aiuto della grazia, compiere con le opere la sua volontà, partecipare frequentemente ai sacramenti, soprattutto all'Eucaristia e alla santa liturgia; applicarsi costantemente alla preghiera, all'abnegazione di se stesso, al servizio attivo dei fratelli e all'esercizio di ogni virtù. La carità infatti, vincolo della perfezione e compimento della legge (cfr Col 3,14; Rm 13,10), dirige tutti i mezzi di santificazione, dà loro forma e li conduce al loro fine. Forse anche questo linguaggio del Concilio Vaticano II per noi è ancora un po' troppo solenne, forse dobbiamo dire le cose in modo ancora più semplice. Che cosa è essenziale? Essenziale è non lasciare mai una domenica senza un incontro con il Cristo Risorto nell'Eucaristia;questo non è un peso aggiunto, ma è luce per tutta la settimana. Non cominciare e non finire mai un giorno senza almeno un breve contatto con Dio. E, nella strada della nostra vita, seguire gli “indicatori stradali” che Dio ci ha comunicato nel Decalogo letto con Cristo, che è semplicemente l'esplicitazione di che cosa sia carità in determinate situazioni. Mi sembra che questa sia la vera semplicità e grandezza della vita di santità: l’incontro col Risorto la domenica; il contatto con Dio all’inizio e alla fine del giorno; seguire, nelle decisioni, gli “indicatori stradali” che Dio ci ha comunicato, che sono solo forme di carità. Perciò il vero discepolo di Cristo si caratterizza per la carità verso Dio e verso il prossimo” (Lumen gentium, 42). Questa è la vera semplicità, grandezza e profondità della vita cristiana, dell'essere santi. Ecco perché sant’Agostino, commentando il capitolo quarto della Prima Lettera di san Giovanni, può affermare una cosa coraggiosa: “Dilige et fac quod vis”,“Ama e fa’ ciò che vuoi”. E continua: “Sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore; vi sia in te la radice dell'amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene” (7,8: PL 35). Chi è guidato dall’amore, chi vive la carità pienamente è guidato da Dio, perché Dio è amore. Così vale questa parola grande: “Dilige et fac quod vis”, “Ama e fa’ ciò che vuoi”. Forse potremmo chiederci: possiamo noi, con i nostri limiti, con la nostra debolezza, tendere così in alto? La Chiesa, durante l’Anno Liturgico, ci invita a fare memoria di una schiera di Santi, di coloro, cioè, che hanno vissuto pienamente la carità, hanno saputo amare e seguire Cristo nella loro vita quotidiana. Essi ci dicono che è possibile per tutti percorrere questa strada. In ogni epoca della storia della Chiesa, ad ogni latitudine della geografia del mondo, i Santi appartengono a tutte le età e ad ogni stato di vita, sono volti concreti di ogni popolo, lingua e nazione. E sono tipi molto diversi. In realtà devo dire che anche per la mia fede personale molti santi, non tutti, sono vere stelle nel firmamento della storia. E vorrei aggiungere che per me non solo alcuni grandi santi che amo e che conosco bene sono “indicatori di strada”, ma proprio anche i santi semplici, cioè le persone buone che vedo nella mia vita,che non saranno mai canonizzate. Sono persone normali, per così dire, senza eroismo visibile, ma nella loro bontà di ogni giorno vedo la verità della fede. Questa bontà, che hanno maturato nella fede della Chiesa, è per me la più sicura apologia del cristianesimo e il segno di dove sia la verità. Nella comunione dei Santi, canonizzati e non canonizzati, che la Chiesa vive grazie a Cristo in tutti i suoi membri, noi godiamo della loro presenza e della loro compagnia e coltiviamo la ferma speranza di poter imitare il loro cammino e condividere un giorno la stessa vita beata, la vita eterna. Cari amici, come è grande e bella, e anche semplice, la vocazione cristiana vista in questa luce! Tutti siamo chiamati alla santità: è la misura stessa della vita cristiana. Ancora una volta san Paolo lo esprime con grande intensità, quando scrive: “A ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo… Egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo” (Ef 4,7.11-13). Vorrei invitare tutti ad aprirsi all’azione dello Spirito Santo, che trasforma la nostra vita, per essere anche noi come tessere del grande mosaico di santità che Dio va creando nella storia, perché il volto di Cristo splenda nella pienezza del suo fulgore. Non abbiamo paura di tendere verso l’alto, verso le altezze di Dio; non abbiamo paura che Dio ci chieda troppo, ma lasciamoci guidare in ogni azione quotidiana dalla sua Parola, anche se ci sentiamo poveri, inadeguati, peccatori: sarà Lui a trasformarci secondo il suo amore. Grazie

13. CONVEGNO a 60 ANNI DALLA MORTE



Promosso dal Comitato “Mariantonia Samà” il 4 agosto 2013 A Sant'Andrea Ionio è stato celebrato un Convegno sul tema “La sofferenza via alla Santità” nello stupendo scenario del chiostro del Convento delle Suore Riparatrici del Sacro Cuore. Questo luogo, donato alle Suore dalla baronessa Enrichetta Scoppa, ha avuto un profondo significato storico e sentimentale poiché è stato privilegio delle Suore Riparatrici l’assistenza della Serva di Dio Mariantonia Samà: del suo corpo, che è stato immobile in posizione supina per circa sessanta anni, e del suo spirito attraverso la formazione religiosa che le ha consentito di ricevere, con voti privati, il velo nero della Congregazione. Don Antonio Tarzia, paolino, e Mons. Raffaele hanno tenuto le due magistrali relazioni.
Così ha introdotto il parroco Don Francesco Palaia:
Benvenuti, cari amici, all'incontro di questa sera nel 60° anniversario della morte della nostra concittadina, la Serva di Dio Mariantonia Samà, (1953-2013). Un saluto e un particolare ringraziamento, anche da parte del Comitato "Mariantonia Samà" che rappresento, al nostro Arcivescovo che ha approvato questo Convegno, e che, per motivi pastorali, non può presiedere. Grato, saluto Don Antonio Tarzia, il nuovo Postulatore, Padre Pasquale Pitari, i confratelli, i rappresentanti delle varie istituzioni, i giornalisti e gli operatori dei Media, i fedeli delle varie comunità, qui presenti, i turisti d'ogni provenienza.
Questo appuntamento, certamente importante per la circostanza che lo ha richiesto e per la presenza di tanti personaggi che oggi lo onora, non vuole offrire un omaggio in più alla Serva di Dio, ma consentirci una salutare riflessione sulla attualità della sua testimonianza e sul valore cristianio della sofferenza a 60 anni dalla  morte.
La crisi religiosa del nostro tempo, caratterizzata da indifferenza, superficialità, esclusione dei valori spirituali, ridotti a fugaci emozioni private, ritiene superato il messaggio cristiano che non incide nelle coscienze e non riesce a migliorare la qualità della vita.
Da qui l'istanza di speranza che si leva dalla nostra società e che trova una convincente concreta risposta nella vita dei santi, veri discepoli di Cristo che hanno misticamente seguito in ogni cosa, sino a riprodurne i tratti e gli esempi. Un tempo per mezzo dei profeti, oggi dei santi, Dio educa il suo popolo. Lo illumina nelle scelte esistenziali, nei cammini dello Spirito e nell'esercizio della carità.
In questa luminosa schiera si incastona l'esperienza mistica di Mariantonia Samà, associata al suo "Bel Gesù", con la consapevolezza di una chiamata a condividerne la passione, amando, pregando, intercedendo per i fratelli. Alla sua scuola di vita, che ha attirato e tuttora coinvolge tanti fedeli, questa sera vogliamo per un momento sostare anche noi perchè possiamo diventare pane di comunione e di compassione alla fame e alla sete del mondo.
La sua vita, come quella di tanti santi, è una storia di amore intessuta da devozione al Crocifisso e all'Eucarestia, dai quali apprese quella "scienza nascosta ai grandi e ai sapienti di questo mondo e che Dio si è compiaciuto rivelare ai piccoli". Qui ha condensato la sua vita e la sua missione, diventando guida instancabile, strumento di intercessione e di carità, soprattutto per gli umili e i poveri. Nella sua carne ha riportato in una sintesi estrema amore e dolore, segni di quella partecipazione alla passione redentrice, per cui noi oggi la onoriamo e la invochiamo.