La beatificazione di Mariantonia e Nuccia Tolomeo - Basilica dell'Immacolata di Catanzaro, 3.10.2021

Visualizzazione post con etichetta Dora Samà. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Dora Samà. Mostra tutti i post

domenica 28 gennaio 2018

20. Proclamazione del Decreto di Venerabilità - 28 gennaio 2018

Un ricordo memorabile: Domenica, 28 gennaio 2018, ore 17,30, Catanzaro, Basilica dell'Immacolata: Inizio della visita pastorale nelle parrocchie della Diocesi e proclamazione del Decreto di venerabiltà della Serva di Dio Mariantonia Samà di Sant'Andrea Apostolo dello Ionio (Catanzaro). E' la prima venerabile in assoluto della Diocesi, dopo 20 secoli di cristianesimo. Un pensiero grato a Don Edoardo Varano, recentemente ritornato a Dio, che tanto si è impegnato per tale esimio riconoscimento da parte della Chiesa.




CONGREGAZIONE DELLE CAUSE DEI SANTI

CATACENSIS – SQUILLACENSIS

BEATIFICATIONIS et CANONIZATIONIS
Servae Dei
MARIAE ANTONIAE SAMÁ
Christifidelis laicae
(1875-1953)

DECRETO SULLE VIRTÙ


«Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11, 25).

La Serva di Dio Mariantonia Samá, gravemente inferma e costretta a letto per oltre sessant’anni, visse con grande soavità e serenità la condizione di quei piccoli e semplici, ai quali è rivelato il Mistero dell’Amore-Crocifisso di Dio. Patendo con Cristo, sostenuta dalla grazia di Dio, impresse un chiaro orientamento di fede e di speranza alla propria esistenza sofferente, trasformando la sua umile casetta in un centro di solidarietà, di preghiera e di carità, un luogo di autentica evangelizzazione.
La Serva di Dio nacque a Sant’Andrea Jonio (Catanzaro) il 2 marzo 1875 da Bruno e da Marianna Vivino e venne battezzata il giorno seguente. Probabilmente nel 1882 fu ammessa alla prima Comunione e ricevette la Cresima. La fanciulla, sana fisicamente e psicologicamente, giocava e correva con gli altri coetanei e, docile e ubbidiente alla madre - rimasta vedova pochi giorni dopo averla concepita - lavorava con lei per il proprio sostentamento.
Nel 1886, ritornando dalla campagna, dopo aver bevuto da un acquitrino probabilmente infetto, accusò dolori e disturbi che, non essendo stati diagnosticati, fecero pensare a un’ossessione, anche perché ella appariva inquieta e ribelle. Questo stato durò circa sei anni.
Una nobildonna, andando generosamente incontro alla povertà della fanciulla e della madre, cercò una via di liberazione e nel giugno del 1894 fece condurre a spalla la ragazza presso la Certosa di Serra San Bruno per un esorcismo. Qui il parroco iniziò le preghiere di liberazione, continuate poi per oltre cinque ore dal Priore della Certosa con tutta la comunità, davanti al busto-reliquiario di San Bruno. Mariantonia si sentì finalmente guarita e abbracciò il busto del Santo come se fosse lì presente fisicamente.
Per circa due anni la sua salute fu buona, ma nel 1896 la Serva di Dio fu di nuovo costretta a letto, in posizione supina, con le ginocchia alzate. Iniziò così il suo calvario di ammalata allettata, che la affliggerà fino alla morte. Fu assistita prima dalla madre, poi da altre persone, oltreché, spiritualmente, dal parroco, dai Padri Redentoristi e dalle Suore Riparatrici del Sacro Cuore, che le assicurarono, dopo la morte della mamma, la costante presenza di una donna del tutto dedita a lei.
Verso il 1915 la Serva di Dio pronunciò privatamente i voti religiosi nelle mani della Superiora delle Suore Riparatrici, con la benedizione del parroco. Da quel momento portò sempre sul capo, fino alla morte, un velo nero e per questo fu da tutti chiamata la Monachella di San Bruno. Divenne sempre più testimonianza spirituale e di consiglio prudente per gli abitanti del paese: stimolo di offerta e di preghiera, di conversione e di solidarietà. In questa sofferenza, fisica e spirituale, il Padre celeste, con la sua maniera di insegnare e grazie ai doni dello Spirito Santo, la condusse alla piena conformazione con Gesù Crocifisso.
Iniziò a diffondersi la fama della sua santità tra la gente, toccata dal modo esemplare con cui Mariantonia si conformava alla volontà di Dio, dalla sua preghiera costante, dalla sua disponibilità all’immolazione, dalla sua serenità e dal suo sorriso, nonché dalla sua capacità di accoglienza, di consolazione e di consiglio per chiunque venisse da lei.
Gli abitanti di Sant’Andrea, dopo la morte della madre avvenuta il 24 febbraio 1920, le portavano i viveri necessari, che ella condivideva con i bisognosi. Portò così la sua croce con fede, speranza e serenità, condividendo con gli altri tutto quanto aveva. Con semplicità ed efficacia divenne per tutti un modello di vita cristiana, con la diffusione del messaggio evangelico, della preghiera soprattutto mariana, la pratica della comunione quotidiana, l’annuncio della necessità di essere uniti a Cristo, come il tralcio alla vite, per portare frutto. Crocifissa col Crocifisso e aperta alle richieste e bisogni del prossimo, contribuì a edificare la Chiesa e la società umana, segnata da due guerre mondiali, con la sua testimonianza orante e silenziosa, la sua costante immolazione, la sua fiducia nella Provvidenza ed il suo abbandono a Dio.
 Morì il 27 maggio 1953, guardando il Crocifisso appeso alla parete di fronte al letto, pronunciando il santo nome di Gesù e di Maria.
Perdurando la fama di santità, il 5 agosto 2007 fu avviata l’Inchiesta diocesana nella Curia Vescovile di Catanzaro, che si concluse il 2 marzo 2009. Alla richiesta di questa Congregazione delle Cause dei Santi di produrre un’ulteriore documentazione sulla fama di santità, dal 20 ottobre 2011 al 31 gennaio 2012 ha avuto luogo un’Inchiesta diocesana suppletiva. Con decreto del 9 giugno 2012, la Congregazione ha riconosciuto la loro validità. Preparata la Positio, si è discusso, secondo la consueta procedura, se la Serva di Dio abbia esercitato in grado eroico le virtù. Il 21 giugno 2016 ha avuto luogo, con esito positivo, il Congresso Peculiare dei Consultori Teologi. I Padri Cardinali e Vescovi nella Sessione Ordinaria del 5 dicembre 2017, presieduta da me Card. Angelo Amato, hanno riconosciuto che la Serva di Dio ha esercitato in grado eroico le virtù teologali, cardinali e annesse.
Fatta una accurata relazione di tutte queste cose al Sommo Pontefice Francesco dal sottoscritto Cardinale Prefetto, Sua Santità, accogliendo i voti della Congregazione per le Cause dei Santi, ratificandoli, oggi ha dichiarato: esistono le prove (dell’esercizio) delle virtù teologali della Fede, della Speranza e della Carità, sia verso Dio e sia vero il prossimo, così come delle virtù cardinali della prudenza, della giustizia, della temperanza e della fortezza, e delle virtù ad esse annesse, in grado eroico della Serva di Dio Mariaantonia Samà, Il Sommo Pontefice ha ordinato che questo Decreto sia reso di pubblico diritto e sia riportato negli Atti della Congregazione per le cause dei Santi, in casu et ad effectum de quo agitur.

Roma, 18 dicembre 2017.

                                                       Angelo Card. Amato, S.D.B.
                                   Prefetto

X Marcello Bartolucci
Arcivescovo tit. di Bevagna
Segretario
-----------------------------------------------------------------------
GALLERIA DI FOTO
 










lunedì 5 agosto 2013

18. LA “CONSOLAZIONE” DI SANT'ANDREA JONIO

Mariantonia Samà nacque il 2 marzo 1875 in Sant'Andrea Ionio, piccolo paese in provincia di Catanzaro e visse in condizioni di estrema povertà, in una cameretta simile ad una cella.
All'età di dodici anni, seguendo la madre in campagna, fu invasa dallo spirito "maligno", dopo aver bevuto dell'acqua corrente tra i sassi.
Viste le inutili benedizioni impartitele anche dai frati del convento del vicino comune di Badolato, si ricorse all'esorcismo presso la Certosa di Serra San Bruno (ora in provincia di Vibo Valentia).
Dopo alcuni tentativi del Padre certosino, Mariantonia fu liberata dal "maligno", ma si narra che lo stesso pronunciò la frase: "La lascio viva, ma storpia".
Trascorsi un paio di anni, Mariantonia -- non si sa se per "vendetta" di Satana... -- rimase immobile a letto, fino alla morte e, quindi, per oltre sessant'anni, in posizione supina, con le ginocchia sempre alzate e contratte.
Iniziò per lei un lungo e doloroso calvario che sopportò con la forza dell'amore, con lo sguardo sempre rivolto al Crocifisso appeso alla parete di fronte al letto.
Guidata dallo Spirito Santo nella comprensione del "mistero della Croce", considerò, quindi, un dono la sua malattia, accettando con serena rassegnazione la definitiva immobilità, che offriva a Dio per la conversione dei peccatori, in riparazione delle loro offese e per ottenere risposta alle richieste di coloro che cercavano conforto presso di lei.
Il Crocefisso
Il suo piccolo letto divenne un altare di offerta e di partecipazione alla Passione ed alla Croce di Gesù: "non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me" (Paolo - Gal.2,20).
Fu sempre assistita da volontarie, sotto il costante controllo delle Suore Riparatrici del Sacro Cuore, che curarono anche la sua preparazione spirituale, trasmettendole una sentita devozione verso lo Spirito Santo ed il Sacro Cuore di Gesù, al quale Mariantonia si rivolse per tutta la vita con spirito di "riparazione eucaristica".
Le Suore decisero di aggregarla alla loro Congregazione e, dopo i voti, Mariantonia divenne per tutti la "Monachella di San Bruno".
Le virtù che hanno caratterizzato la sua vita sono numerose:
la semplicità d'animo; l'umiltà; la modestia; la serenità, che traspariva dal suo volto anche nei momenti di maggior sofferenza; la disponibilità; la generosità ed un'immensa fiducia nella Divina Provvidenza.
Lei, che poteva vivere solo di offerte, divideva con gli altri bisognosi del paese tutto quanto riceveva, sicura che il giorno successivo vi avrebbe comunque provveduto il buon Dio e dimostrando, così, la verità delle parole di San Paolo: "Si è più felici nel dare che nel ricevere" (At. 20,35).
La virtù esercitata da Mariantonia in maniera estremamente eroica è stata senz'altro la pazienza che le impedì non solo di ribellarsi alla sua infermità, ma anche di lamentarsi quando i dolori lancinanti, specie durante la Quaresima, da lei sempre sofferta in condivisione con Cristo, martoriavano il suo esile corpo.
Viceversa, il suo spirito era forte, perché lo alimentava quotidianamente con la preghiera e con l'ostia che le portava puntualmente il suo confessore e dalla quale attingeva sostegno per sopportare la sofferenza, per lottare contro il male e per vivere in perenne amicizia con il Signore.
La sua cameretta, con le pareti tappezzate da molte immagini sacre, sembrava un piccolo "tempio", soprattutto quando, per ben tre volte al giorno, vi era la recita comunitaria del Santo Rosario, essendo Mariantonia "calamita" di preghiere.
Già durante la vita, la sua fama di santità si era diffusa tra gli abitanti del paese, molti dei quali avevano sperimentato i suoi doni della profezia e della guarigione.
Ma oltre a questi, tanti altri sono stati i carismi concessi a lei dallo Spirito Santo: il dono dell'estasi; dell'introspezione; della bilocazione; dell'apparizione; del profumo, sempre presente nella sua camera; della condivisione delle sofferenze di Gesù durante la Quaresima e la Passione e, infine, il dono dell'immunità da piaghe da decubito, anche questo scientificamente inspiegabile, benché fenomeno oggettivo e visibile a tutti.
Mariantonia esalò l'ultimo respiro la mattina del 27 maggio 1953.
Le esequie si svolsero nel pomeriggio dello stesso giorno e l'Arciprete, don Andrea Samà, in considerazione della fama di santità, ordinò che la salma, deposta nella bara aperta, per consentire l'ultimo saluto dei compaesani, venisse accompagnata in processione per alcune vie del paese, prima di raggiungere il Cimitero.
Qui rimase esposta ai fedeli fino al mattino del 29 maggio e molti attestano di aver visto, nel baciarla, che le sue palpebre si alzavano ed abbassavano e di aver sentito un delizioso profumo di rose, non proveniente da fiori...
Attualmente, i sacri resti della Serva di Dio Mariantonia Samà, assieme alla sua inseparabile corona del Rosario, si trovano nella Chiesa Parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo, dove sono stati traslati il 3 agosto 2003.
Il 5 agosto 2007 è stato aperto il processo di beatificazione e canonizzazione presso l’Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace.

sabato 18 maggio 2013

10. PROFILO DI MARIANTONIA SAMA'

Presentazione

Sono lieto di presentare agli amici questa breve pubblicazione di Salvatore Mongiardo, originale omaggio alla nostra concittadina Mariantonia Samà. L’autore ci propone la cara figura della Monachella di San Bruno nel travagliato scenario storico di Sant’Andrea Jonio del secolo scorso.
Recentemente è stato scoperto nell’Archivio Storico della Certosa di Serra San Bruno un manoscritto di quindici pagine che la riguarda, Guarigione della giovinetta di Sant’Andrea, una cronaca preziosa e dettagliata, collegata ai riti di liberazione degli spirdati o ossessi in Calabria.
Questa scoperta suona come un invito a riconsiderare la straordinaria vicenda della Monachella, cosi umile e nascosta, con nuovi approfondimenti. Allora la sua figura potrà apparire in tutta la sua ricchezza di significati per il mondo di oggi alla ricerca di senso e di speranza.
             Il Parroco              don Francesco Palaia

Cenni storici

Figlia unica, Mariantonia Samà nasce il 2 marzo 1875 pochi mesi dopo la morte del padre Bruno in un angusto tugurio, dove il sole non penetra mai e che si apre su una stradina larga un metro.
La madre è povera, come la maggior parte della popolazione calabrese negli anni di miseria che seguirono all’unificazione dell’Italia nel 1861. Mariantonia cresce attaccata alla madre che deve darsi da fare per procurare il cibo. Madre e figlia non sanno leggere né scrivere, parlano solo la lingua andreolese, aggettivo, questo, che indica pure la popolazione di Sant’Andrea Jonio, suggestivo paese in collina, affacciato sul mare. Esse vanno scalze d’estate e d’inverno, in campagna e in montagna, per il paese e dentro la chiesa, come faceva la stragrande maggioranza degli abitanti. Anche il vestire era scarso negli inverni, così rigidi - a fine del Milleottocento - che i lupi arrivavano alle prime case del paese cercando di sfamarsi. Una mattina Mariantonia, all’età di circa 11 anni, segue la madre e altri parenti fino al fiume Saluro, dove vanno a fare il bucato vicino al mulino ad acqua. Al ritorno verso casa, Mariantonia ha sete e si china a bere, come si faceva abitualmente, in una pozza d’acqua in località Briga. Arrivata a casa, rimane contratta e immobile per quasi un mese. Poi dice stranezze, si contorce, proferisce bestemmie e non prende cibo se non dopo la mezzanotte. Per il popolo non ci sono dubbi: ha preso gli spiriti bevendo alla pozza, è una indemoniata. Suppliche, preghiere, aspersioni non aiutano a guarire la poverina e così, dopo circa sei anni di cui l’ultima parte passata da Mariantonia a letto, interviene la baronessa Enrichetta Scoppa, residente a Sant’Andrea Jonio, la quale organizza una spedizione alla Certosa di Serra San Bruno per far esorcizzare la ragazza. Da quando, agli inizi del Millecinquecento, erano state ritrovate le ossa di San Bruno, in Calabria si era diffuso il suo culto come taumaturgo e liberatore degli indemoniati, chiamati anche ossessi o spiritati. Gli esorcismi avvenivano pubblicamente con lunghi riti collettivi che si svolgevano il lunedì e il martedì dopo Pentecoste nel lago in mezzo al quale si trova la statua di San Bruno penitente, poco lontano dalla Certosa.
Recentemente è stata ritrovata nell’archivio della Certosa di Serra, nel fascicolo N. XXVI, una cronaca manoscritta di 15 pagine, datata 1904. L’anonimo cronista scrive che nel mese di giugno, verso l’anno 1894, essendo priore della Certosa don Pio Assandro, Mariantonia viene portata per otto ore da Sant’Andrea Jonio a Serra attraverso il viottolo di montagna. Ci sono con lei la madre e quattro uomini che reggono le stanghe di una cassa dentro la quale essi avevano posto a giacere Mariantonia a causa delle sue continue convulsioni. Abbiamo anche i nomi dei quattro portatori: Antonio Mannello - la tradizione orale parla di Vincenzo Mannello -, Vincenzo e Giuseppe Lombardo e Antonio Frustaci.
Durante il tragitto a volte veniva aperta la cassa per chiedere a Mariantonia se aveva bisogno di qualcosa, ma lei non voleva nulla e diventava più agitata avvicinandosi alla meta. La comitiva che trasportava la cassa con l’inferma giunse a Serra prima di mezzogiorno: attraversando la strada, molta gente intenerita da quello spettacolo seguì l’ammalata alla Certosa. Lì si fermano davanti al portone e iniziano i riti di esorcismo in latino, praticati dall’arciprete di Amaroni che era in visita ai certosini. La folla di serresi si unisce in preghiera, ma non succede nulla. Nel frattempo era rientrato il priore della Certosa, che si trovava fuori all’arrivo di Mariantonia, e prega assieme ad alcuni monaci per cinque ore, ma senza alcun risultato. Alla fine egli ordina di andare a prendere il busto reliquario in argento, venerato sopra l’altare maggiore della cappella conventuale. Quel busto contiene le reliquie di San Bruno o Brunone di Colonia. Si tratta del fondatore dell’ordine dei certosini morto a Serra, in Calabria, dove si era ritirato e aveva eretto la seconda certosa dopo la prima eretta a Chartreuse in Francia. Il busto viene posto davanti alla portineria, su un banco di pietra sito tra l’abbeveratoio e la torre del conte Ruggero. A quel punto succede il miracolo: Mariantonia vede San Bruno sorridente, nella sua forma naturale ma in argento, si leva da sola, abbraccia la statua e grida: San Bruno mi ha fatto la grazia! E si ritrova guarita. Grande esultanza; la cassa nella quale Mariantonia era stata portata e i suoi vestiti vengono bruciati accanto al muro della Certosa. Mariantonia ritorna a Sant’Andrea Jonio per la strada carrozzabile di Soverato, come si usava nei casi di liberazione dal demonio: significava abbandonare la strada vecchia e intraprenderne una nuova. Ma la storia di Mariantonia è solo agli inizi. In paese la vita è durissima e Mariantonia ha una salute fragile. Dopo qualche tempo, forse colpita da artrosi, si mette a letto, coricata sulla schiena, con le gambe rattrappite e le ginocchia levate in alto come una montagnola. Totalmente immobile, se non per l’uso delle mani per sgranare il rosario e mangiare qualcosa con le dita, rimane su quel letto per sessant’anni, fino alla morte avvenuta nel 1953. Proviamo a stenderci su un letto, mettiamoci con le gambe rattrappite e le ginocchia in alto e proviamo a pensare che rimarremo in quella posizione per sessanta anni: la disperazione più nera ci stringerebbe il cuore. Non fu così per Mariantonia che, all’età di 34 anni, perse anche la madre Marianna. Tuttavia Mariantonia non rimase mai sola. Il popolo andreolese andò in suo aiuto e ci fu sempre una donna pronta ad accudirla giorno e notte. Si aggiungano le visite giornaliere di uomini, donne e bambini, accompagnate dal dono di pane fresco, polpette, cibi leggeri, frutta, ortaggi, ricotte, olio, che si confacevano alla immobilità di Mariantonia, ai suoi dolori e ai forti disturbi intestinali.
davanti al lettuccio il crocifisso
Il bel Gesù
Per pudore, lei non volle mai che alcun medico la visitasse nelle parti dolenti. Inoltre i doni in cibo, a volte sovrabbondanti, venivano distribuiti da Mariantonia ai bisognosi, trattenendo per sé solo lo stretto necessario per il giorno ed esclamando: Pe domana Dio provvìda! E rifiutava sempre i doni in danaro. Sul muro di fronte al suo letto era appeso un crocefisso al quale lei si uniformava accettando, anzi amando la sua sofferenza e invocava Cristo chiamandolo chiddhu bellu Gesù, quel bel Gesù, espressione andreolese di grande affetto riservata alle persone più amate e che si potrebbe tradurre con quel diletto Gesù. 
Ogni mattina riceveva la comunione e tre volte al giorno, mattina, mezzogiorno e sera, c’era nella sua casetta la recita del rosario in latino insieme con le visitatrici.
Il numero di persone che ricorrevano a lei per ottenere grazie è impressionante: Che fine ha fatto mio figlio che è in guerra e non scrive più? E’ opportuno o no emigrare in America? Mia figlia si vuole fidanzare con… E’ bene? Mia sorella è malata grave, guarirà? A tutti quelli che le chiedevano tali cose lei infondeva coraggio, dava speranza e spesso faceva loro ottenere la grazia domandata parlando con la sua voce flebile e dolce. Le Suore Riparatrici del Sacro Cuore, alle quali la baronessa Scoppa aveva lasciato il suo palazzo di Sant’Andrea Jonio, la elessero loro consorella con voti privati; da allora la sua testa fu coperta con il velo nero della congregazione e Mariantonia fu chiamata la Monachella di San Bruno. Le Suore Riparatrici provvedevano regolarmente a lavarla e a pettinarla. Lei spirò nella mattinata del 27 maggio 1953, all’età di 78 anni, mentre alcune donne stavano al suo capezzale recitando le litanie della Madonna.

Non aveva nessuna piaga di decubito, la sua pelle era tutta fresca e liscia. Rivestita di un abito di lino bianco, fu portata in processione per le vie del paese con la bara aperta e acclamata santa dal popolo. Nel 2003, a 50 anni dalla morte, fu traslata dalla cappella delle Suore Riparatrici del cimitero nella chiesa parrocchiale di Sant’Andrea, distante in linea d’aria pochi metri dalla sua abitazione che oggi, restaurata dopo un lungo abbandono, appare come una linda casetta dove molti vanno a pregare. Il numero di grazie ottenute, le testimonianze dei fedeli d’Italia e d’America è impressionante. La Monachella non mette soggezione, ci si rivolge a lei come a una persona di famiglia, consola e dà coraggio oggi come faceva da viva. Molti sono i segni rilevati come: bilocazione, profumo di rose o gelsomino, aiuto in situazioni difficili, guarigioni miracolose. La vita di Mariantonia appare come un caso raro nel panorama dei santi cristiani se pensiamo ai sessanta anni ininterrotti della sua immobile degenza. La Monachella non poteva fare altro che dire poche parole in dialetto, pregare e a volte assentarsi in estasi. Ciò testimonia che la fede e l’amore sono capaci di trasformare una condizione umanamente disperata in una fonte inesauribile di grazia e conforto.
Nel 2007 l’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, monsignor Antonio Ciliberti, ha ufficialmente aperto l’inchiesta diocesana per la canonizzazione della Monachella, costituendo l’apposito tribunale ecclesiastico, che dispone già di una vasta documentazione di testimonianze sull’eroicità delle sue virtù, sulla fama di santità e sulle grazie ricevute dai fedeli.

4. PROFILO E FAMA DI SANTITA'



1. APPROFONDIMENTO BIOGRAFICO
di Dora Samà

L'interno della casettaprima del restauro
Mariantonia Samà nacque il 2 marzo 1875 in Sant'Andrea Jonio, piccolo paese in provincia di Catanzaro, e visse in condizioni di estrema povertà in una cameretta simile ad una cella. All'età di dodici anni, seguendo la madre in campagna, fu invasa dallo spirito "maligno", dopo aver bevuto dell'acqua corrente tra i sassi. Viste le inutili benedizioni impartitele anche dai frati del convento del vicino comune di Badolato, si ricorse all'esor­cismo presso la Certosa di Serra San Bruno (ora in provin­cia di Vibo Valentia). Dopo alcuni tentativi del Padre certosino, Mariantonia fu liberata dal "maligno", ma si narra che lo stesso pronunciò la frase: "La lascio viva, ma storpia".
Trascorsi un paio di anni, Mariantonia - non si sa se per "vendetta" di Satana... - rimase immobile a letto, fino alla morte e, quindi, per oltre sessant'anni, in posizione supina con le ginocchia sempre alzate e contratte.
Iniziò per lei un lungo e doloroso calvario che sopportò con la forza dell'amore, con lo sguardo sempre rivolto al Crocifisso appeso alla parete di fronte al letto.
Guidata dallo Spirito Santo nella comprensione del "mistero della Croce", considerò, quindi, un dono la sua malattia, accettando con serena rassegnazione la definitiva immobilità, che offriva a Dio per la conversione dei pecca­tori, in riparazione delle loro offese e per ottenere risposta alle richieste di coloro che cercavano conforto presso di lei.
Il suo piccolo letto divenne un altare di offerta e di parte­cipazione alla Passione ed alla Croce di Gesù: "Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me" (Paolo - Gal.2,20).
Fu sempre assistita da volontarie, sotto il costante controllo delle Suore Riparatrici del Sacro Cuore, che curarono anche la sua preparazione spirituale, trasmettendole una sentita devozione verso lo Spirito Santo ed il Sacro Cuore di Gesù, al quale Mariantonia si rivolse per tutta la vita con spi­rito di "riparazione eucaristica".
Le Suore decisero di aggregarla alla loro Congregazione e, dopo i voti, Mariantonia divenne per tutti la "Monachella di San Bruno".
Le virtù che hanno caratterizzato la sua vita sono numerose: la semplicità d'animo; l'umiltà; la modestia; la serenità, che traspariva dal suo volto anche nei momenti di maggior sofferenza; la disponibilità; la generosità ed un'immensa fiducia nella Divina Provvidenza.
Lei, che poteva vivere solo di offerte, divideva con gli altri bisognosi del paese tutto quanto riceveva, sicura che il giorno successivo vi avrebbe comunque provveduto il buon Dio e dimo­strando, così, la verità delle parole di San Paolo: "Si è più felici nel dare che nel riceve­re" (At.20,35).
La virtù esercitata da Mariantonia in maniera estremamente eroica è stata senz'altro la pazienza che le impedì non solo di ribellarsi alla sua infermità, ma anche di lamentarsi quando i dolori lancinanti, specie duran­te la Quaresima, da lei sempre sofferta in condivisione con Cristo, martoriavano il suo esile corpo.
Viceversa, il suo spirito era forte, perché lo alimentava quotidianamente con la preghiera e con l'ostia che le portava puntualmente il suo confessore e dalla quale attingeva soste­gno per sopportare la sofferenza, per lottare contro il male e per vivere in perenne amicizia con il Signore.
La sua cameretta, con le pareti tappezzate da molte immagini sacre, sembrava un piccolo tempio, soprattut­to quando, per ben tre volte al giorno, vi era la recita comu­nitaria del Santo Rosario, essendo Mariantonia "calamita" di preghiere.
Già durante la vita, la sua fama di santità si era diffusa tra gli abitanti del paese, molti dei quali avevano speri­mentato i suoi doni della profezia e della guarigione.
Ma oltre a questi, tanti altri sono stati i carismi concessi a lei dallo Spirito Santo: il dono dell'estasi; dell'introspezione; della bilocazione; del profumo, sem­pre presente nella sua camera; della condivisione delle sofferenze di Gesù durante la Quaresima e la Passione e, infine, il dono dell' im­munità da piaghe da decubito, anche questo scientificamente inspiegabile, benché fenomeno oggettivo e visibile a tutti.
Mariantonia esalò l'ultimo respiro la mattina del 27 maggio 1953. Le esequie si svolsero nel pomeriggio dello stesso gior­no e l'Arciprete, don Andrea Samà, in considerazione della fama di santità, ordinò che la salma, deposta nella bara aperta, per consentire l'ultimo saluto dei compaesani, venisse accompagnata in processione per alcune vie del paese, prima di raggiungere il Cimitero.
Qui rimase esposta ai fedeli fino al mattino del 29 mag­gio e molti attestano di aver visto, nel baciarla, che le sue palpebre si alzavano ed abbassavano e di aver sentito un delizioso profumo di rose, non proveniente da fiori...
Attualmente, i sacri resti della Serva di Dio Mariantonia Samà, assieme alla sua inseparabile corona del Rosario, si trovano nella Chiesa Parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo, dove sono stati traslati il 3 agosto 2003.
Giugno 2007


2. LA FAMA DI SANTITA' DELLA SERVA DI DIO MARIANTONIA SAMA'
di Dora Samà

La tomba della Serva di Dio nella Chiesa parrocchiale
Prima delle mie personali considerazioni su questo delicato argomento, intendo riportare, con soddisfazione e vivo senso di gratitudine verso Sua Ecc.za Mons. Antonio Cantisani, già Arcivescovo di Catanzaro-Squillace (31 luglio 1980 / 5 aprile 2003), la parte iniziale di una Sua esauriente dichiarazione in merito: "Il Signore ha arricchito il mio episcopato di tanti doni: tra i più preziosi c'è senz'altro la testimonianza evangelica di presbiteri, religiosi e laici che Egli ha suscitato in questa Chiesa di Catanzaro-Squillace. Risplende di particolare luce la figura di Mariantonia Samà, detta "La Monachella di San Bruno". Dopo la rievocazione delle Sue visite pastorali a Sant'Andrea Jonio (CZ), dove ella visse, Mons. Cantisani ammette d'essersi reso conto sin da subito che "la memoria della Serva di Dio era quanto mai viva presso tutto il popolo" per l'unanime giudizio: "A Sant'Andrea abbiamo una santa!"
Secondo il mio modesto parere la santità di Mariantonia risale alla sua definitiva malattia, da lei considerata un dono di Dio e vissuta conformandosi pienamente alla Sua volontà.
In tale situazione le sarà stato vicino il grande Patriarca San Bruno, il quale - dopo averla miracolata da ragazza - le avrà suggerito, da padre tenero e premuroso, di affidarsi - nel lungo sessantennio d'immobilità - al Signore Gesù, di contemplare il Crocifisso nel silenzio del suo piccolo "eremo", per sopportare con pazienza il soave giogo della croce, in cambio del Suo infinito amore per noi. Dal suo letto di dolore Mariantonia aiutava il prossimo con la preghiera, lo consolava nelle tribolazioni, lo sosteneva con i suoi saggi consigli, trasmetteva la sua profonda devozione verso il Sacro Cuore di Gesù e della Vergine Santa per cui ogni persona, dopo aver saputo del suo dono profetico e dell'assenza di piaghe dal corpo, la considerava "santa".
Poiché viveva della carità di tutti, ogni famiglia andreolese che la frequentava, trasmise la sua devozione alla prole, come anche fecero i miei genitori.
Mio padre aveva due anni meno di Mariantonia: da piccolo la vedeva crescere, correre con le coetanee e in famiglia apprese con dispiacere della sua infermità. Da pensionato, quando visitava gli ammalati del paese, portava anche a Mariantonia le arance e i dolcetti di "pan di spagna", preparati in casa da mia madre, la quale riteneva importante che noi figli frequentassimo la "santa" sin da piccoli, per acquisire maggiore sensibilità di fronte alla povertà ed alla sofferenza dei meno fortunati. Pertanto, preferiva affidare a noi, dal sesto anno d'età in poi, la consegna per Mariantonia del pranzo domenicale, che le giungeva ancora morbido e caldo.
Mia sorella primogenita, Caterina, conduceva per mano il fratellino Giuseppe, di appena cinque anni, sostituiti in seguito da mia sorella Teresina che, infine, cedette a me l'incarico. La povera inferma aveva conquistato il nostro cuore con l' angelica calma, la dolcezza della sua voce e, quando in famiglia si parlava di lei, tutti ascoltavamo con interesse. Mio padre la definiva "donna saggia, di preghiera e di grande fede", apprezzava ogni suo suggerimento e ripeteva le sue frasi: "Bisogna fidarsi solo del Signore", "Chi ha fede in Dio, non muore mai!"
Notavamo la disponibilità di Mariantonia tanto che da adulti le esponevamo, senza timore, i nostri dubbi e penso che lo abbiano fatto anche mia sorella Caterina e mio fratello (in seguito Suor Caterina "salesiana" e Padre Giuseppe "gesuita"), nel periodo vocazionale, per avere le sue    illuminate risposte. Dopo la loro partenza mia madre si è rasserenata, in seguito all'esortazione della Serva di Dio, di pensarli "come due lampade sempre accese davanti al Tabernacolo".
Nella biografia di Mariantonia da me scritta ("Una vita nascosta in Cristo") ho accennato ad alcune sue profezie nei miei confronti, ma riconosco d'essermi accorta della sua santità sin dalla fanciullezza e non solo in virtù del suo dono profetico: m'incantavo a guardarla le volte in cui aveva gli occhi spalancati e fissi al Crocifisso e riconoscevo l'atteggiamento estatico per la sua assenza dalla realtà, perché non rispondeva al mio saluto né prima e né dopo e non pronunciava nemmeno il solito grazie affettuoso per mia madre. Riflettevo, inoltre, sulle interessanti notizie ascoltate da mia zia Caterina, sorella di mio padre, quando ritornava dalla sua visita quotidiana a Mariantonia.
Ci riferiva di alcuni eventi strani che si ripetevano puntualmente nella sua vita e che nessuno aveva mai notato, come risulta oggi, infatti, dalle tante testimonianze.
Sin dal primo giorno di ogni Quaresima e fino alla Santa Pasqua, Mariantonia si asteneva dall'acqua e dal cibo e, inoltre, praticava il completo digiuno anche durante tutti i venerdì dell'anno per vivere la crocifissione mistica, in riparazione degli oltraggi rivolti al Sacratissimo Cuore di Gesù. La mia certezza sulla santità di Mariantonia si è rafforzata nel giorno del suo trapasso quando, dopo la funzione funebre, l'Arciprete don Andrea Samà, per "unanime volere del popolo", decise che l'umile Serva di Dio - come si usa con i santi - fosse accompagnata a bara scoperta per alcune principali vie del paese fino al Cimitero, dove la salma rimase per ben tre giorni esposta alla venerazione degli innumerevoli fedeli, giunti anche dai paesi vicini. In quella circostanza la fama di santità si è manifestata nel desiderio di ogni devoto di avere un pezzetto di velo o di vestito della "Santa" da custodire gelosamente come "reliquia". Questo gesto, molto significativo, risalta nella testimonianza scritta da don Andrea Samà ai margini del Registro di morte dell'anno 1953 (atto n.26). Egli si esprime così: "Gente di qualsiasi razza e credenza si prostrava, le baciava la mano, offriva un fiore e altro ritirava, finché l'Arciprete è stato costretto a levarle la fascia di figlia di Maria ed il velo, perché fossero divisi come ricordo".
Un'ulteriore conferma della santità di Mariantonia è stata la funzione religiosa della traslazione della sua salma dal Cimitero alla Chiesa Matrice, autorizzata il 2 ottobre 2002 dall'Arcivescovo Mons. Cantisani e dallo stesso presieduta il 3 agosto 2003, su incarico del suo successore, Sua Ecc.za Antonio Ciliberti. La solenne cerimonia si configura quale riconoscimento ed omaggio della Chiesa per un'anima vissuta sempre in concetto di santità e degna di riposare nella Chiesa Parrocchiale "SS. Pietro e Paolo". Durante la concelebrazione eucaristica - tenutasi nel piazzale antistante la chiesa, per la grande affluenza di fedeli - l'Arcivescovo emerito, Mons. Cantisani, si è soffermato con entusiastico fervore sull'eroismo delle sue numerose virtù e l'ha indicata ai presenti come modello da seguire nel cammino del pellegrinaggio terreno.
Castelfranco Veneto, 29 giugno 2011      


3. UNA FEDELISSIMA AMICA DI GESU’: MARIANTONIA SAMA’
di Dora Samà

Il bel Gesù della Serva di Dio
Mariantonia Samà, nota come “la Monachella di San Bruno” - da me considerata madre spirituale - nacque a Sant’Andrea Jonio (CZ) il 2 marzo 1875 da Bruno e da Marianna Bevivino e fu cresciuta dalla madre, perché il padre morì prima della sua nascita.
La Serva di Dio visse in condizioni di estrema povertà in una piccola casetta, sita in un vicolo angusto e composta da un unico vano, privo dei servizi di acqua e di luce. Da fanciulla trascorse le giornate in modo spensierato con le sue coetanee e aiutando la mamma nel lavoro dei campi. A dodici anni la sua vita fu sconvolta da un insolito avvenimento: bevendo dell’acqua corrente in una conca del terreno, si sentì tormentata nel corpo e nell’anima. Ne uscì vittoriosa dalla possessione diabolica in seguito all’esorcismo presso la Certosa di Serra San Bruno. D’allora Mariantonia ritornò serena, ma solo per un paio di anni perché un giorno, non riuscendo più a reggersi in piedi, rimase a letto definitivamente immobile, in posizione supina con le ginocchia alzate e contratte, per circa 60 anni fino alla morte (27 maggio 1953), senza avere mai una piaga da decubito.
Iniziò per Mariantonia un lungo e doloroso calvario vissuto nel silenzio e nel nascondimento e sopportato con la forza dell’amore di Dio, con lo sguardo rivolto sempre al Crocifisso appeso alla parete di fronte al letto, che divenne un altare di offerta e di partecipazione alla Passione di Gesù. Guidata dallo Spirito Santo nell’intelligenza del mistero della croce, Mariantonia considerò la sua malattia come un dono di Dio, senza mai lamentarsi. Ciò le consentiva di alimentare la sua fede e di trarre l’energia necessaria per affrontare quei mali fisici che, spesso,mettevano a dura prova il suo corpo gracile e debilitato. Quando rimase orfana anche di madre, si occuparono di lei le Suore Riparatrici del Sacro Cuore residenti in paese, facendola seguire da un Sacerdote. Questi le portava ogni mattina la S. Comunione, mentre le Suore le facevano ascoltare il Vangelo, la vita dei Santi e l’aiutavano a completare la sua formazione cristiana.
Dopo aver preso atto della sua preparazione e del suo desiderio, le Suore decisero di aggregarla alla loro congregazione mediante i voti e la consegna del velo nero, usato da Mariantonia anche di notte. Da quel momento fu chiamata da tutti “la Monachella di San Bruno”.
Per la sua fama di santità diffusa da tempo tra la popolazione, ogni persona angosciata sentiva il bisogno di confidarsi con la “Monachella” che trovava sempre le parole adatte per confortare, per infondere serenità, fiducia e rassegnazione alla volontà di Dio. Anch’io, pur sapendola priva d’istruzione, ho seguito, fin da ragazza, i suoi saggi consigli considerandoli dettati dallo Spirito Santo. Purtroppo, nessun sacerdote dell’epoca, nemmeno i suoi confessori, si preoccuparono di tenere un diario sugli eventi straordinari o sui fenomeni strani che si manifestavano in quell’anima eletta, la quale viveva in umiltà una profonda vita mistica. Mariantonia affrontò la sua vocazione al dolore con eroica pazienza, per la conversione dei peccatori, per le necessità della Chiesa, per rendere più efficace il suo apostolato di carità evangelica verso il prossimo e per l’unità delle famiglie, che tanto le stava a cuore. Vari episodi testimoniano la prontezza con cui Mariantonia interveniva per salvare, con la sua preghiera, la sacralità del vincolo matrimoniale delle coppie in crisi. La sua vita esteriore è stata per tutti come un libro aperto, mentre quella interiore - sempre avvolta nel mistero - continua a racchiudere in sé i segni del soprannaturale, perché si tratta di quella “vita nascosta con Cristo in Dio” di cui parla l’apostolo Paolo nella Lettera ai Colossesi (3,3) e che sfugge ad ogni scandaglio dell’intelligenza umana.
Dopo la morte di Mariantonia nessuno tra gli abitanti del posto, ha pensato di fare una ricerca accurata dei fatti e degli episodi straordinari della sua vita. Ho cercato di tracciare un profilo più completo della sua personalità, servendomi dei miei ricordi, delle notizie apprese da mia zia Caterina, che la frequentava spesso e delle testimonianze dei miei  compaesani. Sono emersi episodi straordinari, interventi ritenuti miracolosi dagli stessi medici e tanti carismi, concessi a Mariantonia dallo Spirito Santo. Oltre al dono della profezia e dell’immunità dalle piaghe, Mariantonia possedeva quello delle guarigioni, dell’estasi, dell’introspezione, del profumo, della bilocazione e, soprattutto, dell’assimilazione di sé stessa con il Signore Gesù sofferente e crocifisso, tanto da potersi applicare pienamente a lei le parole di San Paolo: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”. (Gal.2,20). Le ginocchia alzate e contratte di Mariantonia si opposero, anche dopo la morte, ad ogni tentativo di abbassarle, come per impedire di modificare una situazione permessa da Dio, perché restasse un segno indelebile del suo lungo martirio.
Cessò di vivere alle ore 10.00 del 27 maggio 1953, dopo una settimana di grande sofferenza. Le sue sacre spoglie, traslate dal cimitero il 3 agosto 2003, riposano, assieme alla sua inseparabile corona del Santo Rosario, nella Parrocchia “SS. Pietro e Paolo” di Sant’Andrea Jonio. Nel mese di novembre 2006, l’Ecc.mo Mons. Antonio Ciliberti, Arcivescovo di Catanzaro Squillace (CZ), ha nominato come postulatore don Vincenzo Manzione, della Diocesi Teggiano - Policastro (SA) e il 9 febbraio 2007 ha costituito il Tribunale per la deposizione di testimonianze di quanti la conobbero. Nel pomeriggio del 5 agosto 2007, nel corso di una concelebrazione eucaristica nella chiesa parrocchiale, l’Arcivescovo ha annunciato ufficialmente l’apertura del processo di canonizzazione della Serva di Dio Mariantonia Samà. Invece, il 1° novembre 2008 Sua Eminenza il Cardinale Angelo Bagnasco, costituiva il Tribunale ecclesiastico, per istruire un processo sul presunto miracolo avvenuto nella Sua Diocesi per intercessione della Serva di Dio. L’inchiesta diocesana si è conclusa il 2 marzo 2009 e la documentazione è stata depositata il 12 ottobre successivo a Roma, presso la Congregazione per le Cause dei Santi, dove si trova anche quella relativa al miracolo, inviata dopo la chiusura del Tribunale, avvenuta il 23 dello stesso mese.
                       Castelfranco Veneto, 23 ottobre 2010


4. MARIANTONIA SAMÀ E NATUZZA EVOLO
due calabresi autentiche seguaci di Gesù
di Dora Samà

La casetta (tugurio) della Serva di Dio (12 m.q)
Ho avuto la gioia di conoscere Mariantonia Samà (detta la “Monachella di San Bruno”, nata a Sant’Andrea Ionio - CZ - il 2 marzo 1875 ed ivi deceduta il 27 maggio 1953) e Natuzza Evolo (la grande mistica, nata a Paravati - VV - il 23 agosto 1924 ed ivi deceduta il 1° novembre 2009), di frequentarle, d’averle, in tempi diversi, come guida spirituale, d’apprezzare la loro saggezza, nonostante fossero analfabete, di rendermi conto della loro profonda spiritualità e della grande predilezione di Dio per loro.
Pur umili creature, hanno risposto con prontezza alla sua chiamata, abbracciando con giubilo la croce per offrirGli la sofferenza, ritenuta un suo dono, in cambio del suo infinito amore. Le mie frequenti visite a Mariantonia mi hanno consentito di conServar vivo ogni ricordo, ogni sensazione e l’ammirazione per la sua serena accettazione dell’immobilità, che la tenne inchiodata al letto per sessant’anni, sin da fanciulla, sempre nella posizione supina, con le ginocchia alzate e contratte. Non ho mai dimenticato l’espressione angelica del suo volto quando, assente dalla realtà, rimaneva per ore assorta con lo sguardo al Crocifisso, in diretta ed intima comunione con il suo “bel Gesù” né ho dimenticato le frasi che ripeteva spesso e che poi ho ritrovato leggendo i diari di alcuni Santi, sentendo i racconti di alcuni veggenti ed anche nei messaggi che Natuzza riceveva da Gesù e dalla Vergine Santa, specie nel periodo della quaresima. Natuzza - che pur si definiva per umiltà “verme di terra” - mi parlava con semplicità e naturalezza dei fenomeni strani che in lei si verificavano e io le sono infinitamente grata per avermi aiutata, con il racconto degli episodi soprannaturali della sua vita, a comprendere la vita “avvolta nel mistero” di Mariantonia Samà, la quale negava di avere visioni mistiche, mentre a confermarle ci sono recenti e attendibili testimonianze. Nello scrivere la sua biografia “Una vita nascosta in Cristo” ho così scoperto che, tranne la sudorazione ematica e le stimmate, Mariantonia aveva in comune con Natuzza, oltre all’origine calabrese ed alla devozione per San Francesco di Paola, numerosi carismi e diverse virtù, che esercitava, come lei, in modo estremamente eroico.
Entrambe hanno svolto un fecondo ed intenso apostolato nella rispettiva modesta abitazione, con l’amorevole ascolto delle angosce di tanti fratelli, bisognosi di una parola di conforto. Avevano la grande capacità di infondere serenità, speranza, fiducia nel Signore ed esortavano tutti alla fedeltà dei precetti evangelici, al compimento della divina volontà e alla carità operosa verso il prossimo. Devotissime del Santo Rosario, da loro definito “arma potente contro il male, utile per la pace nel mondo e per il trionfo del Regno di Dio”, hanno diffuso il Suo culto consigliandone la recita quotidiana, soprattutto comunitaria.
Le due “innamorate di Gesù Crocifisso” partecipavano alla sua passione sopportando atroci dolori e digiunando per tutto il periodo quaresimale e vivevano, inoltre, anche “la crocifissione mistica” tutti i venerdì dell’anno, offrendo la sofferenza ed il digiuno in riparazione degli oltraggi dei peccatori contro il Sacratissimo Cuore di Gesù. Come tanti Santi, possedevano il dono del profumo, ma mentre quello di Natuzza è stato avvertito durante la sua esistenza, sembra che quello di Mariantonia si sia manifestato solo dal giorno della sua morte. Anche il 5 agosto 2007 — giorno in cui da parte dell’Ecc.mo Mons. Antonio Ciliberti, Arcivescovo di Catanzaro-Squillace, è stata annunciata ufficialmente, nella Chiesa Matrice di Sant’Andrea Ionio, l’apertura del relativo processo di canonizzazione — l’umile casetta di Mariantonia è stata pervasa da un odore soave, nel quale prevaleva la fragranza di rose. Successivamente, il profumo di Mariantonia ha assunto una fragranza di vaniglia, identica a quella riferita alla presenza di Natuzza e si è avvertito sia all’interno della sua modesta casetta, sia in tutto il vicolo antistante, quasi come se la Serva di Dio volesse andare incontro ai suoi devoti visitatori. La mia esperienza personale nel percepire il profumo di queste anime elette si riferisce a Mariantonia e a Natuzza: ho avvertito il profumo di Mariantonia nella sua casetta nell’estate 2007 e quello di Natuzza intorno al 1980 nella mia abitazione di Napoli, ricevendo poi da lei la sua conferma telefonica della sua venuta “spirituale”. Durante una mia successiva visita nella sua casa di Paravati, dopo averle mostrato un’immaginetta della Monachella, senza alcuna esitazione, l’ha subito definita “santa in Cielo per aver sofferto in vita per amore di Gesù”. Sono, quindi, certa che Natuzza, dal Regno dei beati pregherà affinché Mariantonia sia ora dichiarata formalmente Santa, anche sulla base del riconoscimento, quale miracolo, della guarigione istantanea ottenuta, per sua intercessione, da una signora residente a Genova. Tutti noi pregheremo, invece, con fiducia la S.S. Trinità affinché — a maggior Gloria di Dio e a beneficio delle nostre anime — sia Mariantonia Samà che Natuzza Evolo, fedelissime discepole del Divin Maestro, vengano presto entrambe proclamate sante dalla chiesa per i loro numerosi meriti e la diffusa fama di santità.
Castelfranco Veneto, 11 giugno 2010
Festa del Sacro Cuore di Gesù