La beatificazione di Mariantonia e Nuccia Tolomeo - Basilica dell'Immacolata di Catanzaro, 3.10.2021

sabato 18 maggio 2013

10. PROFILO DI MARIANTONIA SAMA'

Presentazione

Sono lieto di presentare agli amici questa breve pubblicazione di Salvatore Mongiardo, originale omaggio alla nostra concittadina Mariantonia Samà. L’autore ci propone la cara figura della Monachella di San Bruno nel travagliato scenario storico di Sant’Andrea Jonio del secolo scorso.
Recentemente è stato scoperto nell’Archivio Storico della Certosa di Serra San Bruno un manoscritto di quindici pagine che la riguarda, Guarigione della giovinetta di Sant’Andrea, una cronaca preziosa e dettagliata, collegata ai riti di liberazione degli spirdati o ossessi in Calabria.
Questa scoperta suona come un invito a riconsiderare la straordinaria vicenda della Monachella, cosi umile e nascosta, con nuovi approfondimenti. Allora la sua figura potrà apparire in tutta la sua ricchezza di significati per il mondo di oggi alla ricerca di senso e di speranza.
             Il Parroco              don Francesco Palaia

Cenni storici

Figlia unica, Mariantonia Samà nasce il 2 marzo 1875 pochi mesi dopo la morte del padre Bruno in un angusto tugurio, dove il sole non penetra mai e che si apre su una stradina larga un metro.
La madre è povera, come la maggior parte della popolazione calabrese negli anni di miseria che seguirono all’unificazione dell’Italia nel 1861. Mariantonia cresce attaccata alla madre che deve darsi da fare per procurare il cibo. Madre e figlia non sanno leggere né scrivere, parlano solo la lingua andreolese, aggettivo, questo, che indica pure la popolazione di Sant’Andrea Jonio, suggestivo paese in collina, affacciato sul mare. Esse vanno scalze d’estate e d’inverno, in campagna e in montagna, per il paese e dentro la chiesa, come faceva la stragrande maggioranza degli abitanti. Anche il vestire era scarso negli inverni, così rigidi - a fine del Milleottocento - che i lupi arrivavano alle prime case del paese cercando di sfamarsi. Una mattina Mariantonia, all’età di circa 11 anni, segue la madre e altri parenti fino al fiume Saluro, dove vanno a fare il bucato vicino al mulino ad acqua. Al ritorno verso casa, Mariantonia ha sete e si china a bere, come si faceva abitualmente, in una pozza d’acqua in località Briga. Arrivata a casa, rimane contratta e immobile per quasi un mese. Poi dice stranezze, si contorce, proferisce bestemmie e non prende cibo se non dopo la mezzanotte. Per il popolo non ci sono dubbi: ha preso gli spiriti bevendo alla pozza, è una indemoniata. Suppliche, preghiere, aspersioni non aiutano a guarire la poverina e così, dopo circa sei anni di cui l’ultima parte passata da Mariantonia a letto, interviene la baronessa Enrichetta Scoppa, residente a Sant’Andrea Jonio, la quale organizza una spedizione alla Certosa di Serra San Bruno per far esorcizzare la ragazza. Da quando, agli inizi del Millecinquecento, erano state ritrovate le ossa di San Bruno, in Calabria si era diffuso il suo culto come taumaturgo e liberatore degli indemoniati, chiamati anche ossessi o spiritati. Gli esorcismi avvenivano pubblicamente con lunghi riti collettivi che si svolgevano il lunedì e il martedì dopo Pentecoste nel lago in mezzo al quale si trova la statua di San Bruno penitente, poco lontano dalla Certosa.
Recentemente è stata ritrovata nell’archivio della Certosa di Serra, nel fascicolo N. XXVI, una cronaca manoscritta di 15 pagine, datata 1904. L’anonimo cronista scrive che nel mese di giugno, verso l’anno 1894, essendo priore della Certosa don Pio Assandro, Mariantonia viene portata per otto ore da Sant’Andrea Jonio a Serra attraverso il viottolo di montagna. Ci sono con lei la madre e quattro uomini che reggono le stanghe di una cassa dentro la quale essi avevano posto a giacere Mariantonia a causa delle sue continue convulsioni. Abbiamo anche i nomi dei quattro portatori: Antonio Mannello - la tradizione orale parla di Vincenzo Mannello -, Vincenzo e Giuseppe Lombardo e Antonio Frustaci.
Durante il tragitto a volte veniva aperta la cassa per chiedere a Mariantonia se aveva bisogno di qualcosa, ma lei non voleva nulla e diventava più agitata avvicinandosi alla meta. La comitiva che trasportava la cassa con l’inferma giunse a Serra prima di mezzogiorno: attraversando la strada, molta gente intenerita da quello spettacolo seguì l’ammalata alla Certosa. Lì si fermano davanti al portone e iniziano i riti di esorcismo in latino, praticati dall’arciprete di Amaroni che era in visita ai certosini. La folla di serresi si unisce in preghiera, ma non succede nulla. Nel frattempo era rientrato il priore della Certosa, che si trovava fuori all’arrivo di Mariantonia, e prega assieme ad alcuni monaci per cinque ore, ma senza alcun risultato. Alla fine egli ordina di andare a prendere il busto reliquario in argento, venerato sopra l’altare maggiore della cappella conventuale. Quel busto contiene le reliquie di San Bruno o Brunone di Colonia. Si tratta del fondatore dell’ordine dei certosini morto a Serra, in Calabria, dove si era ritirato e aveva eretto la seconda certosa dopo la prima eretta a Chartreuse in Francia. Il busto viene posto davanti alla portineria, su un banco di pietra sito tra l’abbeveratoio e la torre del conte Ruggero. A quel punto succede il miracolo: Mariantonia vede San Bruno sorridente, nella sua forma naturale ma in argento, si leva da sola, abbraccia la statua e grida: San Bruno mi ha fatto la grazia! E si ritrova guarita. Grande esultanza; la cassa nella quale Mariantonia era stata portata e i suoi vestiti vengono bruciati accanto al muro della Certosa. Mariantonia ritorna a Sant’Andrea Jonio per la strada carrozzabile di Soverato, come si usava nei casi di liberazione dal demonio: significava abbandonare la strada vecchia e intraprenderne una nuova. Ma la storia di Mariantonia è solo agli inizi. In paese la vita è durissima e Mariantonia ha una salute fragile. Dopo qualche tempo, forse colpita da artrosi, si mette a letto, coricata sulla schiena, con le gambe rattrappite e le ginocchia levate in alto come una montagnola. Totalmente immobile, se non per l’uso delle mani per sgranare il rosario e mangiare qualcosa con le dita, rimane su quel letto per sessant’anni, fino alla morte avvenuta nel 1953. Proviamo a stenderci su un letto, mettiamoci con le gambe rattrappite e le ginocchia in alto e proviamo a pensare che rimarremo in quella posizione per sessanta anni: la disperazione più nera ci stringerebbe il cuore. Non fu così per Mariantonia che, all’età di 34 anni, perse anche la madre Marianna. Tuttavia Mariantonia non rimase mai sola. Il popolo andreolese andò in suo aiuto e ci fu sempre una donna pronta ad accudirla giorno e notte. Si aggiungano le visite giornaliere di uomini, donne e bambini, accompagnate dal dono di pane fresco, polpette, cibi leggeri, frutta, ortaggi, ricotte, olio, che si confacevano alla immobilità di Mariantonia, ai suoi dolori e ai forti disturbi intestinali.
davanti al lettuccio il crocifisso
Il bel Gesù
Per pudore, lei non volle mai che alcun medico la visitasse nelle parti dolenti. Inoltre i doni in cibo, a volte sovrabbondanti, venivano distribuiti da Mariantonia ai bisognosi, trattenendo per sé solo lo stretto necessario per il giorno ed esclamando: Pe domana Dio provvìda! E rifiutava sempre i doni in danaro. Sul muro di fronte al suo letto era appeso un crocefisso al quale lei si uniformava accettando, anzi amando la sua sofferenza e invocava Cristo chiamandolo chiddhu bellu Gesù, quel bel Gesù, espressione andreolese di grande affetto riservata alle persone più amate e che si potrebbe tradurre con quel diletto Gesù. 
Ogni mattina riceveva la comunione e tre volte al giorno, mattina, mezzogiorno e sera, c’era nella sua casetta la recita del rosario in latino insieme con le visitatrici.
Il numero di persone che ricorrevano a lei per ottenere grazie è impressionante: Che fine ha fatto mio figlio che è in guerra e non scrive più? E’ opportuno o no emigrare in America? Mia figlia si vuole fidanzare con… E’ bene? Mia sorella è malata grave, guarirà? A tutti quelli che le chiedevano tali cose lei infondeva coraggio, dava speranza e spesso faceva loro ottenere la grazia domandata parlando con la sua voce flebile e dolce. Le Suore Riparatrici del Sacro Cuore, alle quali la baronessa Scoppa aveva lasciato il suo palazzo di Sant’Andrea Jonio, la elessero loro consorella con voti privati; da allora la sua testa fu coperta con il velo nero della congregazione e Mariantonia fu chiamata la Monachella di San Bruno. Le Suore Riparatrici provvedevano regolarmente a lavarla e a pettinarla. Lei spirò nella mattinata del 27 maggio 1953, all’età di 78 anni, mentre alcune donne stavano al suo capezzale recitando le litanie della Madonna.

Non aveva nessuna piaga di decubito, la sua pelle era tutta fresca e liscia. Rivestita di un abito di lino bianco, fu portata in processione per le vie del paese con la bara aperta e acclamata santa dal popolo. Nel 2003, a 50 anni dalla morte, fu traslata dalla cappella delle Suore Riparatrici del cimitero nella chiesa parrocchiale di Sant’Andrea, distante in linea d’aria pochi metri dalla sua abitazione che oggi, restaurata dopo un lungo abbandono, appare come una linda casetta dove molti vanno a pregare. Il numero di grazie ottenute, le testimonianze dei fedeli d’Italia e d’America è impressionante. La Monachella non mette soggezione, ci si rivolge a lei come a una persona di famiglia, consola e dà coraggio oggi come faceva da viva. Molti sono i segni rilevati come: bilocazione, profumo di rose o gelsomino, aiuto in situazioni difficili, guarigioni miracolose. La vita di Mariantonia appare come un caso raro nel panorama dei santi cristiani se pensiamo ai sessanta anni ininterrotti della sua immobile degenza. La Monachella non poteva fare altro che dire poche parole in dialetto, pregare e a volte assentarsi in estasi. Ciò testimonia che la fede e l’amore sono capaci di trasformare una condizione umanamente disperata in una fonte inesauribile di grazia e conforto.
Nel 2007 l’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, monsignor Antonio Ciliberti, ha ufficialmente aperto l’inchiesta diocesana per la canonizzazione della Monachella, costituendo l’apposito tribunale ecclesiastico, che dispone già di una vasta documentazione di testimonianze sull’eroicità delle sue virtù, sulla fama di santità e sulle grazie ricevute dai fedeli.

9. TESTIMONIANZA DI UN MEDICO


Parere medico sull'infermita' di  Mariantonia Samà
di Dott. Giuseppe Stillo
 Medico chirurgo, Medico di medicina generale,Specialista in Medicina del lavoro

E' estremamente difficile formulare una diagnosi di malattia a posteriori a distanza di tanti anni, anche perché nel caso in questione i dati clinici ed anamnestici sono carenti sia perché l'ammalata non si è mai fatta visitare da medici, sia perché non è stato possibile raccogliere una storia clinica adeguata. Sulla base dei sintomi descritti da chi l'ha conosciuta, tenendo anche in considerazione i lunghi anni trascorsi immobilizzata a letto durante i quali, secondo il racconto di chi andava a trovarla, l'ammalata muoveva solo l'arto superiore destro in un atteggiamento spastico, si può pensare che la stessa fosse affetta da paralisi spastica tipo Malattia di Charcot Marie Tooth.
Tale malattia è una neuropatia sensitivo motoria, simmetrica e progressiva, caratterizzata da atrofia e debolezza muscolare soprattutto a carico degli arti inferiori. Si manifesta in età giovanile (di solito prima dei 20 anni) con dolori e crampi muscolari. Infatti, secondo le testimonianze, Mariantonia Samà, all'inizio riferiva dolori agli arti inferiori ed i familiari, pensando ad una forma reumatica o artrosica, la portarono al mare per fare delle sabbiature senza alcun beneficio. In seguito si ha una spasticità progressiva degli arti inferiori tale da costringere 1'ammalata a stare a letto come è accaduto per Mariantonia. Tale malattia non abbrevia la durata della vita ma provoca immobilizzazione a letto con dolori continui (infatti quando l'ammalata veniva cambiata i dolori aumentavano al punto che lei se ne lamentava). La posizione di malata immobilizzata a letto in atteggiamento paralitico di tipo spastico, determina, dopo poco tempo, la formazione di piaghe da decubito con ulcere necrotiche che, ove non trattate, sono maleodoranti. Nel caso in questione tutte le testimonianze riferiscono che il fenomeno delle piaghe non si è mai verificato né è stato preso, all'epoca, alcun provvedimento per prevenirle. Dal punto medico scientifico, non trova spiegazione il fatto che un'ammalata, costretta per 60 anni immobilizzata a letto, non abbia avuto mai piaghe da decubito.
S. Andrea Jonio, 15 Aprile 2011               In fede                  Dott. Giuseppe Stillo

8. RICORDO di MARIANTONIA



 di Don Alberto Vitale

Sono Parroco a S. Andrea Marina (CZ) dal 15/01/1984 e ho ancora vivo nella mia mente il ricordo, come testimone oculare, delle esequie della Serva di Dio Mariantonia Samà, detta anche "Monachella di San Bruno", avvenuti il 29 Maggio 1953. Una fiumana di popolo riempiva tutte le strade del paese; la salma di Mariantonia Samà posta in una bara scoperta, veniva portata in processione per le principali vie ed io insieme ad altri bambini, per poterla vedere, tanta era la calca e la folla, siamo saliti sul muretto, come Zaccheo che salì su un sicomoro per vedere Gesù.
Vi parteciparono tutte le associazioni di Azione Cattolica (allora fiorenti in paese), le Associazioni "Figlie di Maria", delle "Madri Cristiane", delle Suore Riparatrici e tutto il popolo. Per due giorni la bara scoperta rimase nella cappella delle Suore Riparatrici, del Cimitero di S. Andrea, dove un flusso continuo di gente andava e veniva, per venerarla, pregarla e tagliuzzava pezzi del suo vestito per tenerli come reliquia, perché dicevano morta la Monachella... è morta una santa! Lei preghi per noi!"
Mariantonia Samà fu considerata santa non solo dopo la sua morte, ma anche durante la sua vita terrena. Molti sono i presunti interventi miracolosi attribuiti alla sua intercessione.
Quando Mariantonia a 34 anni rimase orfana di madre, si occuparono di lei le Suore Riparatrici del Sacro Cuore, residenti in paese, facendola seguire da un sacerdote (Don Bruno Cosentino) che le portava ogni mattina la Comunione, mentre le suore le facevano ascoltare il Vangelo o la vita di qualche santo e l'aiutavano a completare la sua formazione cristiana.
Dopo aver preso atto della sua preparazione e del suo desiderio, le suore decisero di aggregarla alla loro Congregazione mediante i voti privati e la consegna del velo nero, che Mariantonia usava anche di notte. Da quel momento fu chiamata la "Monachella di San Bruno". La sua fama di santità si era diffusa da tempo nella popolazione, perché donna di preghiera, di penitenza e, soprattutto, per i suoi consigli per i vari problemi personali e familiari e per il dono della chiaroveggenza delle situazioni dei propri figli o mariti lontani per la guerra. Ogni persona angosciata sentiva il bisogno di confidarsi con la Monachella, la quale trovava sempre parole adatte per confortare, per infondere sempre fiducia e abbandono alla volontà di Dio. Il 3 agosto 2003, nel 50° della sua morte, i resti mortali, composti in un'urna, sono stati traslati dal Cimitero alla Chiesa Matrice di S. Andrea e collocati nel lato destro della stessa Chiesa. In quell'occasione fu celebrata in piazza la S. Messa presieduta da S.E. Mons. Antonio Cantisani con molti Sacerdoti concelebranti tra cui io sottoscritto alla presenza di una folla di fedeli.
S. Andrea Jonio, 20 Aprile 2011
                                Sac. Alberto Vitale Parroco

7. SI CONFORMO' A CRISTO CROCIFISSO PER IL BENE DELLE ANIME

"Sul letto del dolore si conformò a Cristo crocifisso per il  bene delle anime"[1]

di Don Vincenzo Manzione

L'Arcivescovo di Catanzaro-Squillace, Mons. Antonio Ciliberti, durante la visita pastorale a S. Andrea Ionio (Cz), ha ufficialmente aperto l'inchiesta diocesana per la canonizza­zione di Mariantonia Samà, detta comunemente la "mona­chella di S. Bruno".
Il 6 gennaio 2007, l'Arcivescovo aveva nominato postulatore della causa, don Vincenzo Manzione del Clero della Diocesi di Teggiano-Policastro. Il 9 febbraio, Mons. Ciliberti aveva provveduto alla costituzione del Tribunale, nominando il canonico Edoardo Varano, Giudice delegato; don Vincenzo Zoccali, promotore di Giustizia; Rita Domimijanni, notaio titolare e Daniela Martin, notaio sostituto. Della Commissione storica fanno parte: don Leonardo Calabretta e don Gregorio Montillo.
Mariantonia Samà, detta anche la monachella di San Bruno, nacque a S. Andrea Ionio, provincia di Catanzaro, il  2 marzo 1875, da una famiglia molto povera.
Il padre, Bruno, morì prima che lei nascesse. Fu, quindi, la madre, Marianna Vivino, a doversi interessare della crescita e del mantenimento della piccola Mariantonia.
All'età di 13-15 anni circa, la ragazza fu colpita da una grave forma di artrite deformante ed osteoporosi che la inchiodò per tutta la vita a letto, immobile, in posizione supi­na, con le ginocchia alzate e contratte per oltre 60 anni.
Abitava con la madre in un'umile, angusta e buia casetta, rassomigliante piuttosto ad un tugurio, in un vicolo strettissi­mo del paese, dove il  sole non faceva mai capolino.
Il buio, il  freddo, l'estrema povertà dell'ambiente, insieme alle precarie condizioni economiche della famiglia, resero più  atroce la sofferenza fisica di Mariantonia e quella morale della madre; ma entrambi ebbero la forza e il  coraggio della fede e della speranza nell'aiuto della divina Provvidenza.
Mariantonia abbracciò con grande serenità dell'anima, direi con vera gioia del cuore, la sua penosa malattia, confor­tata soltanto dal suo ardente amore al Crocifisso che vedeva, contemplava ed adorava appeso alla parete di fronte al suo misero giaciglio.
Col lento trascorrere delle ore, dei giorni e degli anni, rea­lizzò una piena assimilazione a Lui, divenendo cosi copia perfetta di Gesù Crocifisso.
Su quel letto di dolore, sul quale fu inchiodata come su di una croce per tutta la vita, diventato altare, calvario e catte­dra, Mariantonia poté essere sacerdotessa, vittima e maestra di vita e di virtù eroicamente vissute e, perciò, esempio e sprone per tutti alla santità. Fu cosi perfetta la sua conformazione al Crocefisso Signore da poter dire di con l'Apostolo Paolo: "Questa vita che vivo nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio... Sono stata crocifissa con Cristo, non sono più  io che vivo, ma è Cristo, che vive in me" (Gal. 2, 20 ss.).
La sua vita nascosta in Cristo crocifisso si nutrì costantemente dell'Eucaristia, che riceveva quotidianamente e che, durante le lunghe ore di ringraziamento, adorava in unione mistica di amore sponsale.
Mariantonia, pur essendo sprovvista di cultura umana, custodiva accuratamente nella sua anima illibata i doni infusi dallo Spirito Santo: Intelletto, Scienza e Sapienza, che le resero facile e agevole il  volo verso le più  alte manifesta­zioni dello Spirito, divenendo vera "luce sul monte" per illu­minare, elevare ed orientare alla santificazione i numerosissi­mi fedeli che andavano a farle visita per ascoltarla, ammirar­la, chiederle consigli ed aiuti spirituali.
Era tanto vera e sincera la fede di quella gente e cosi spon­tanea la loro venerazione per la Serva di Dio che, ancora oggi, dopo 54 anni dalla morte, possiamo vantare il  possesso di una vasta documentazione di testimonianze, di segni straordinari, di illuminazioni e di grazie ricevute, che un'apposita com­missione storica, già nominata, dovrà accuratamente esami­nare.
La signora Dora Samà, che da ragazza ebbe frequenti con­tatti con la Serva di Dio, nel suo recente libro biografico: "Una vita nascosta in Cristo", scrive: "Non è mai uscito dalla sua bocca un solo lamento; forse erano momenti di dolore quelli in cui esclamava: "Dio mio e mio Tutto".
Quando le persone che andavano a farle visita, in sua presenza, aggiungevano qualche critica durante la conversazione, in quei momenti, fissando il Crocifisso, con voce addolorata ripeteva: "Quanto soffre quel buon Gesù"!
Mariantonia Samà morì, come Gesù sulla croce, in odore di santità, il  27 maggio 1953.
I funerali furono una corale partecipazione di popolo osan­nante alla sua santità e al suo martirio incruento per amore.
Sulla sua tomba fu posta l'epigrafe che è un vero testa­mento spirituale di una vita crocifissa per amore: "Visse per amore, soffrì per amore ed ora dal Cielo a tutti addita la via dell'Amore". Ancora oggi, a distanza di più  di mezzo secolo, il  profumo della sua santità e delle sue virtù eroiche continua a diffon­dersi dentro e fuori del suo paese.
I pellegrini continuano ad accorrere a frotte da tutte le parti a S. Andrea Ionio per visitare e pregare sulla sua tomba, ora trasferita nella Chiesa parrocchiale Santi Pietro e Paolo, per poi recarsi nella vicina casetta a deporre un fiore sul povero letto dove si consumò il  suo calvario di dolorosa crocifissio­ne e per impetrare dalla sua intercessione aiuti e favori cele­sti, per sfogare le proprie pene interiori e chiedere sollievo e conforto per le sofferenze del corpo.
E' veramente commovente ed edificante poter leggere quelle testimonianze di fede, di speranza e di amore che i visitatori scrivono nei registri appositamente collocati in un angolino di quel povero tugurio.
Oltre ad invocare grazie personali, tutti manifestano ferma volontà di conversione e di imitazione della vita e delle virtù della Serva di Dio. In special modo, della sua fede operosa e viva; della sua speranza invincibile; della sua carità senza misura; della sua povertà, umiltà, e purezza di cuore; della sua serenità, pazienza e gioia nel portare la propria croce; della sua generosa disponibilità verso gli altri; della sua illi­mitata fiducia nella divina Provvidenza; del suo totale abban­dono alla Volontà di Dio.
Di tali sublimi esempi abbiamo tutti bisogno, specialmen­te i giovani, per colmare quel vuoto interiore che una cultura negatrice dei valori soprannaturali, sta diffondendo nella nostra società.
Per il  suo stile di vita condotto nella sofferenza, che ne fece una martire di forzata immobilità, la Serva di Dio Mariantonia Samà resta un perenne e luminoso esempio di accettazione incondizionata del dolore ed un sicuro, sublime richiamo per noi a purificarci ed elevarci per mezzo di esso.                              
Roma, 27 aprile 2007
"Ha preso la croce, ha imitato Cristo, suo sposo, ora vive con Lui, splendente come il  sole nell'assemblea dei Santi"    (dalla liturgia).


[1] Osservatore Romano del 27 aprile 2007 n. 95, pagina 4

6. PROFILO SPIRITUALE E APPROFONDIMENTI



di Don Edoardo Varano

 1. Profilo spirituale

1.  Ho conosciuto di persona da concittadino e da sacerdote Mariantonia Samà. Era una persona semplice, umile, priva di cultura, nell'impossibilità di leggere e scrivere.  A ciò si aggiunga ch'essa nessuna attività esterna poté svolgere fuori dal suo poverissimo tugurio di appena 12,68 metri quadri, dove per 60 anni rimase a letto senza fare mai piaghe di decubito.
E, perche santa ritenuta, i fedeli accorrevano numerosi al suo capezzale per avere notizie sui congiunti in zona di guerra o per ricevere consigli in particolari loro bisogni. Le sue risposte brevi e precise, dette a voce flebile, trovavano sempre puntuale riscontro nella realtà.

2. Straordinaria fu la sua vita spirituale, alimentata, come a viva sorgente, dalla preghiera personale e silenziosa che si trasformava in contemplazione. Non mancava mai la recita del S. Rosario tre volte al giorno assieme a fedeli presenti. Ma il momento più importante della giornata era senza dubbio quello della S. Comunione, che un anziano e santo sacerdote tutte le mattine di buona ora le portava.
Chi per caso era presente notava un singolare mutamento del suo volto tanto da sembrare morta. In realtà, appariva all'esterno quell'invisibile, intima unione col "dolce Gesù" come solitamente ripeteva. A questa unione, però, era pervenuta attraverso l'acuta sofferenza, che giorno e notte affliggeva il suo gracile corpo senza mai darle tregua.
Stare immobile a letto per 60 anni, senza potersi rivoltare d'un centimetro, tenendo in alto le ginocchia e ferme le braccia sul petto, ha dell'impossibile. Eppure, nessun lamento, nessun rifiuto, nessuna parola di stanchezza.
La forza e la gioia di soffrire l'attingeva da Gesù Crocifisso appeso sulla parete di fronte, su cui erano costantemente fissi i suoi occhi.
La gente aveva ben capito che in quella fragile carne dimorava il "Divino" e per questo accorrevano a lei anche sacerdoti, religiosi e finanche vescovi.

3. Abbiamo una luminosa conferma della diffusa fama di santità della Serva di Dio, anche in vita, considerando l'imponente partecipazione popolare in occasione delle sue esequie svolte, a cassa scoperta, prima per le vie del paese a mo' di processione sacra, poi in chiesa e infine in corteo fino al cimitero.
A riguardo, non posso fare a meno di trascrivere lo scritto, il solo che possediamo sulla Serva di Dio e sconosciuto purtroppo fino ad oggi, lasciatoci dal Parroco del tempo Arciprete Don Andrea Samà. Si trova, cosa insolita, a margine dell'atto di morte di Mariantonia Samà, e ritenendo sia la testimonianza più qualificata, la riporto ad litteram come giace nel libro. Eccola:

     "N° 26 — Samà Mariantonia  (morta il 27 maggio 1953)
Morta in concetto di santità, non appena spirata, l'oscuro tugurio in Via Cassiodoro, che l'aveva vista nascere, crescere ed invasa dal demonio a 15 anni circa, è diventato luogo sacro di un affollarsi soffocante di popolo che faceva forte pressa di penetrarvi per vedere le spoglie angeliche della Santina di S. Bruno. Era così chiamata perché, invasa dal demonio, a cura della Baronessa Scoppa e del Barone De Iorio, nipote, era stata condotta a Serra S. Bruno e sul lago omonimo liberata dal demone. D'allora in poi, rimase sempre a letto nella posizione supina fino alla morte, senza aver una sola piaga di decubito.
Spirava alle ore 10 (dieci); è stata trasportata al cimitero alle ore 16,30 a cassa scoperta; per unanime volere del popolo è stata posta nella Chiesa delle Ven. Suore Riparatrici meta di continuo pellegrinaggio fino alle ore undici del giorno 29.
Gente di qualsiasi classe e credenza si prostrava, le baciava la mano, offriva un fiore ed altro ritirava, finché l'Arciprete (cioè lo scrivente Don Andrea Samà) è stato costretto a levarle la fascia di figlia di Maria e il velo nero perché fossero divisi come ricordo.
Molti asseriscono di averla vista aprire e chiudere gli occhi. Immediatamente prima della saldatura della cassa di zinco, in cui è stata rinchiusa, la gente asciugava il sudore che bagnava leggermente il corpo, ed io, Arciprete Andrea Samà, ho dovuto constatare che il velo da me tirato per essere diviso alla gente, era realmente addirittura inzuppato, come ho fatto constatare a certo Cosentino Gerardo che lo tagliuzzava con le forbici.
Fino al momento della saldatura, alle ore 11 del 29-5-1953, non si sentiva cattivo odore".
 
2. Alcune precisazioni

  1. Riguardo alla natura della malattia che colpì Mariantonia Samà, si ritiene difficile fare una diagnosi precisa, sia perché trattasi di una persona vissuta da più di un secolo sia perché mancano documenti e riferimenti clinici del passato. Nonostante questa situazione anomala, il Dott. Giuseppe Stillo, dopo lunghe, approfondite ricerche e riflessioni ha rilasciato una diagnosi-ipotesi che viene allegata a parte. La mancanza di riferimenti clinici del passato non stupisce se si tiene presente che la Serva di Dio ha sempre ostinatamente rifiutato visite mediche sul suo corpo, tanto forte era in lei il sentimento profondo di pudicizia. Si spiega così il fatto che solo le Suore Riparatrici del luogo potevano effettuare la sua pulizia personale o ravviare i capelli. Lo conferma anche il Sac. Don Tito Voci nativo di S. Andrea che nel suo libro "Indagine storica di S. Andrea ", in un capitolo dedicato alla "Monachella di San Bruno" a pag. 191 scrive tra l'altro: "In opposizione allo stato di ossessa, si sviluppò in lei l 'amore alla purezza che custodì sempre, un orrore istintivo al peccato e al demonio –quella brutta bestia – come diceva ".

2. Riguardo all'esorcismo, non v'è dubbio che è stato effettuato a causa delle strane e irriverenti manifestazioni da tutti ritenute diaboliche. Non si spiega altrimenti la rischiosa iniziativa della Baronessa Scoppa del luogo, donna colta, intelligente e religiosa, di organizzare, certamente con l'assenso dei Sacerdoti, il trasporto della ragazza in una specie di cassa, facendo affrontare un viaggio di 8 ore a piedi attraverso la nostra montagna, servita solo di viottolo mulattiero. Conosciamo, infatti, nomi e cognomi dei 4 portatori, tutti di S. Andrea, come si ricava dalla fotocopia del documento manoscritto, conServato in originale nella biblioteca della Certosa di Serra San Bruno. E' anche certo che la ragazza, ritornata in paese dopo il felice esito dell'esorcismo, condusse subito vita normale dedicandosi ai comuni lavori (attingere acqua alla fonte, trasportare legna, raccogliere olive). Dopo circa 2 o 3 anni, cominciò ad avvertire forti dolori alle gambe e ginocchia ritenuti allora forme artritiche, per cui furono consigliati, come allora era uso fare, bagni di sole e sabbiature sul litorale del nostro vicinissimo mare Jonio. Queste cure, purtroppo, non sortirono l'effetto sperato, anzi aggravarono tanto la situazione da costringere la ragazza a trovare sollievo a letto, mantenendo le gambe contratte. Questa posizione immobile l'accompagnò per 60 anni fino alla morte e - cosa straordinaria - senza fare mai piaghe da decubito. Non sappiamo se la scienza medica possa dirci qualcosa in merito! Resta però il fatto che la Serva di Dio, inchiodata a letto, accettò il suo martirio e calvario senza mai lamentarsi, felice di soffrire con Cristo Crocifisso, "il suo bel Gesù", come soleva ripetere. Nell'amore sofferente si purificò fino a raggiungere l'unione più intima e perfetta con Cristo nello stato mistico. In questo lungo atto di amore sofferente consiste essenzialmente la sua santità. Fatti e circostanze che l'accompagnarono, spariscono davanti al mistero di Dio, che da ciò che è piccolo e ignobile sa trarre cose grandi incomprensibili a livello umano.

3. Prima di parlare dell'assistenza delle donne alla Serva di Dio, si deve accennare al luogo dove essa veniva prestata. Questo non può chiamarsi né casa né casetta ma solo tugurio. Posto a piano terra è racchiuso in 12 mq più un sottotetto raggiungibile con scala a pioli. In questo poverissimo tugurio, con pochissima luce esterna, nacque, visse e morì la Serva di Dio. Dopo la morte della madre che l'assisteva, si rese necessario dividerlo per creare un piccolo ambiente per far riposare di notte le buone donne e collocare un focolarino per cucinare o riscaldare le vivande, che i buoni e generosi fedeli del paese senza tregua portavano alla "Monachella di San Bruno". Le donne, che si sono succedute una dopo l'altra nell'assistenza, erano tutte anziane e di provata fede religiosa. Prestavano il servizio di carità gratuitamente fino a quando le loro forze fisiche lo consentivano, convinte che ciò facevano verso una persona ritenuta da tutti una santa. I loro nomi sono riportati, in gergo dialettale, nella biografia scritta da Dora Samà ("Una vita nascosta in Cristo" - pag. 32); e in quella scritta dal Sac. Gerardo Mongiardo ("Mariantonia Samà, 60 anni di amore crocifisso " - pag. 43).

4. La Serva di Dio ha trascorso la sua vita nel più assoluto nascondimento e silenzio senza beneficiare mai di pubblicità o provocare rumore esterno. Per lei nessuno ha fatto propaganda e anche nello stesso ambiente ecclesiastico diocesano, fu completamente ignorata.
Al contrario la sua fama di santità è stata costantemente riconosciuta dal popolo e dai sacerdoti di S. Andrea a lei devotamente vicini. Diversi testi de visu concordemente e in coscienza affermano che la Serva di Dio è veramente una santa.
Questo il comune sentire e la convinzione del popolo di S. Andrea, per cui anche qui vale ripetere: vox populi, vox Dei.
Sulla fama di santità della Serva di Dio, non vi è alcun dubbio.
E' sufficiente ricordare e rimarcare alcune note:
A.           Nel Registro Parrocchiale dei morti al n° 26, il Parroco del tempo Sac. Andrea Samà che conosceva bene la "Monachella di San Bruno" perché la frequentava, a margine dell'atto di morte (cosa insolita) inizia così la sua testimonianza:
"Samà Mariantonia morta in concetto di santità" ...
Questa è la testimonianza più qualificata e convincente che conserviamo, fatta dal Parroco del tempo, portavoce di tutta la comunità parrocchiale. Essa è molto importante perché di indiscusso valore probatorio circa la fama di santità della Serva di Dio.
B.            In occasione della traslazione dei resti mortali della Serva di Dio dal cimitero al paese (3 Agosto 2003) avvenuta con la partecipazione imponente dei fedeli (c'ero anch'io), il Vescovo S.E. Mons. Antonio Cantisani celebrò la S. Messa nella piazza affollata, con l'urna deposta ai piedi dell'altare. Questa, dopo la cerimonia, fu portata alla vicina Chiesa Parrocchiale per essere in essa tumulata. Non si può pensare che un Vescovo abbia permesso, a cuor leggero, la reposizione in Chiesa dei resti mortali della Serva di Dio se non fosse stato profondamente convinto della sua santità.
C.            Scrivere due biografie sulla "Monachella di San Bruno" da parte di un Sacerdote e di una laica senza avere prove sufficienti sulla fama di santità, sarebbe stato aberrante impostura e mancanza di rispetto verso i lettori.
D.           I continui devoti visitatori alla tomba e al vicino tugurio della "Monachella di San Bruno", ora decorosamente ristrutturato, confermano la sua fama di santità.

CONCLUSIONE

Il misero tugurio fu il suo deserto spirituale per 60 anni, vissuto nell'estrema povertà, nel nascondimento, nel silenzio e nell'umiltà, alimentati da una interminabile sofferenza amata con Cristo Crocifisso. Questa la particolare nota della sua santità. Da quel letto la Serva di Dio lancia oggi un messaggio liberatorio a questa nostra società assetata di potere, denaro ed edonismo. Per la Calabria, in particolare, è  un forte richiamo ai valori umani e cristiani tanto necessari per la sua attesa rinascita.
 
3. Perchè il ritardo della Causa di beatificazione?

Il motivo principale per cui, dopo la morte della Serva di Dio Mariantonia Samà avvenuta 27/05/1953, il Processo è iniziato dopo 54 anni, è perché nessuno si è interessato. Come spiegare? Anzitutto c'era una subcultura in Calabria che riteneva difficile in quei tempi (oggi tutto è cambiato) ottenere il riconoscimento ufficiale della Chiesa sulla santità di una persona. Pur sapendo tutti che la Serva di Dio fosse una santa, nessuno, purtroppo, prese l'iniziativa di introdurre la causa di beatificazione. I diversi vescovi che si sono succeduti nelle due diocesi di Catanzaro e Squillace, non hanno prestato, dati i loro impegni, spiccata attenzione alla nostra Serva di Dio, umile e nascosta, vissuta immobile a letto per 60 anni in un poverissimo ed angusto tugurio. Neppure i parroci e sacerdoti del luogo, pur consapevoli della santità della nostra Mariantonia, hanno mai vagheggiato l'idea di un possibile processo di beatificazione. A sollevarne il problema sono stato io e alcuni ferventi laici che abbiamo trovato entusiastica accoglienza nel vescovo Mons. Antonio Cantisani che, tra l'altro, in data 3 Agosto 2003, compì la reposizione dei resti mortali della Serva di Dio nella Chiesa Parrocchiale dei SS. Apostoli Pietro e Paolo in Sant'Andrea Jonio. Mi auguro presto la felice conclusione del Processo in corso per la Beatificazione della nostra Serva di Dio, uno dei tanti gioielli di questa tormentata Calabria, capace anche di esprimere intelligenza e santità.